Il titolo è tutto un programma: “Libera nos Domine. Sulla globalizzazione dell’indifferenza e sull’ignoranza dell’idiota giulivo”. L’autore, padre Giulio Albanese, strizza l’occhio al lettore per poi affrontare, fin dalle prime pagine, un tema cruciale: il discernimento, ovvero la propensione a studiare, capire, confrontarsi a partire dai temi – complessi – dell’oggi. Anche perché, afferma, “il rischio, sempre in agguato, è quello di essere contaminati dal virus della stupidità”, tra disinformazione, fake news, assertività nei social media, banalità diffuse con generosità.
Padre Albanese porta, in questo nuovo libro (Edizioni Messaggero Padova), una riflessione che parte da lontano e che pesca nel suo stesso profilo biografico: comboniano, ha diretto il New People Media Centre di Nairobi e fondato la Missionary Service News Agency. È stato direttore per 13 anni delle riviste delle Pontificie opere missionarie italiane, fra le quali “Popoli e Missione”. Collabora con varie testate giornalistiche (come “Avvenire” e “l’Osservatore Romano”) su temi legati all’Africa e al Sud del mondo. Numerosi i suoi volumi, tra cui “Missione è comunicazione. Le regole del gioco” e “Poveri noi, con Francesco dalla parte dei poveri”.
Padre Giulio, partiamo dall’inizio: chi è l’“idiota giulivo”?
L’idiota giulivo è il semplificatore, colui che divide lo scenario tra buoni e cattivi e a cui manca la capacità di comprendere la complessità del mondo inteso come “villaggio globale” in cui viviamo. Direi in una battuta che l’idiota giulivo è l’incompetente che non solo è inconsapevole di esserlo, ma non avendo alcuna competenza fa dei danni enormi. Gli effetti di questa patologia sono sotto gli occhi di tutti. Poco importa che si tratti della questione migratoria o delle divergenze di opinione sulle vaccinazioni, il confronto è spesso segnato da riottosità e polemiche a non finire. Il rischio, sempre in agguato per tutti, è quello d’essere contaminati dal virus della stupidità di cui, per così dire, l’idiota giulivo di cui sopra è l’archetipo. Alla comunità cristiana, come d’altronde a tutte le agenzie educative in campo, il compito di contrastare questo indirizzo promuovendo il discernimento, l’esercizio del pensiero, influenzato e illuminato, nella fede, dallo Spirito Santo.
Lei scrive: “l’unico vero antidoto contro il pensiero debole contemporaneo è il discernimento”. Parola negletta di questi tempi… Richiama lo studio, la conoscenza, la riflessione, la volontà di dialogo. E la differenza, come direbbero Norberto Bobbio e il cardinal Martini, tra “pensanti e non pensanti”. È così?
L’unico antidoto è il discernimento. Questo significa in sostanza far girare i neuroni, non solo del cervello, ma anche quelli dell’anima per operare scelte che rispondano al bene comune che è quello condiviso. Da questo punto di vista, mi lasci dire “non ci sono credenti e non credenti, ma solo pensanti e non pensanti”. Il compianto cardinale Carlo Maria Martini, che ebbi la fortuna di conoscere da giovane studente di teologia, amava spesso citare, con ironia, questa frase di Norberto Bobbio. Però, poi, precisava scrupolosamente che “tra i pensanti ci sono i pensanti credenti e quelli non credenti…”. In sostanza, per Martini, si trattava di cogliere la linea di demarcazione, tra uomini e donne che credono nel riscatto, nella possibilità di cambiamento, che hanno il coraggio di vivere la sofferenza, di continuare a cercare per credere, sperare e amare, e coloro che invece, uomini e donne del nostro tempo, che hanno rinunciato alla lotta tirando i remi in barca, che sembrano essersi accontentati dell’orizzonte penultimo e non sanno più accendersi di desiderio e di nostalgia al pensiero di guardare oltre. Al di là delle interpretazioni possibili della crisi delle ideologie, della fine della modernità e del profilarsi del tempo postmoderno, della cosiddetta “società fluida”, ciò che oggi in Occidente rende culturalmente più poveri è la mancanza di un orizzonte condiviso, quello che Papa Francesco ha circoscritto nel perimetro della “Casa Comune”. Si tratta di un contesto esistenziale rispetto a cui porre l’ethos, non soltanto come modus vivendi, prassi e costume, ma anche come radicamento e dimora, ultimo fondamento del vivere e dell’agire umano. È dunque evidente che la sfida, evangelicamente parlando, è quella del discernimento; mentre invece, su di un piano più squisitamente laico, occorre affermare il primato della riflessione su ogni genere di banalizzazione e chiacchiericcio, evitando di scadere nei pregiudizi o nei luoghi comuni.
Perché tra gli elementi del discernimento inserisce la preghiera?
La preghiera è innanzitutto e soprattutto ascolto e interiorizzazione della Parola di Dio. Ecco che allora il discernimento, in un’atmosfera contemplativa, consiste nel saper leggere i segni dei tempi di cui parla il Concilio, alla luce del messaggio evangelico. Se così fosse oggi non saremmo di fronte a una così diffusa ed endemica “crassa ignorantia” da parte di molti fedeli rispetto ai dettami del Vangelo. Sarebbe ora, ad esempio, che la Dottrina sociale della Chiesa entrasse a pieno titolo nella pastorale ordinaria delle nostre comunità. Il fatto che vi siano molti “devoti” o presunti tali che vanno a messa alla domenica e poi ostentano insofferenza nei confronti dei migranti la dice lunga. Sono vuoti da riempire che esigono il dono della conversione. Una conversione che può scaturire solo pregando. Vittorio Bachelet, vittima delle spietate Brigate Rosse, diceva: “non si vince l’egoismo mostruoso che stronca la vita se non con un supplemento di amore”. Non resta allora che fare silenzio, riflettendo e soprattutto pregando sul mistero del dolore di fronte a quei corpi, straziati dal Mare Monstrum, cui è stato negato il diritto di “fuggire” e dunque di “esistere”. Per non parlare dei sopravvissuti, a cui è stato attribuito un reato incomprensibile alle menti pensanti, quello di una presunta clandestinità, quasi fosse un peccato essere riusciti a salvare la pelle.
Lei, oltre che un missionario, è anche un noto giornalista. L’informazione, o la disinformazione, alimentano conoscenza e cultura nell’opinione pubblica?
Per quanto l’areopago della stampa sia ancora oggi composto da bravissimi cronisti che avvertono il bisogno istintivo di raccontare quello che vedono, il sistema mediatico planetario – facendo la media tra società cosiddette avanzate e altre in via di sviluppo – comunica appena il 20 per cento delle notizie che tutti saremmo tenuti a conoscere. In sostanza significa che l’opinione pubblica sa poco o niente di quello che succede nel nostro pianeta, col risultato che l’ignoranza, intesa come non conoscenza di quanto succede, rappresenta un fattore altamente destabilizzante. Sono in molti ad obiettare che un’informazione internazionale robusta non ha mercato e che dunque certe notizie non si vendono perché non interessano alla gente. I sostenitori di questa tesi dimenticano che l’informazione ha un’indubbia valenza educativa e che il suo uso, deontologicamente, non può essere strumentale. Come ha scritto Papa Francesco nella sua ultima enciclica “Fratelli tutti”, “la vera saggezza presuppone l’incontro con la realtà. Ma oggi tutto si può produrre, dissimulare, modificare. Questo fa sì che l’incontro diretto con i limiti della realtà diventi insopportabile. Di conseguenza, si attua un meccanismo di ‘selezione’ e si crea l’abitudine di separare immediatamente ciò che mi piace da ciò che non mi piace, le cose attraenti da quelle spiacevoli”.
Il suo libro esce alla fine del 2020, segnato dal Covid. Quale eredità ci lascerà, a suo avviso, questa tragica esperienza? Come ne usciremo?
È evidente che non siamo ancora fuori dalla pandemia anche se l’augurio è che questo tempo di prova possa risolversi il prima possibile. Ma fin d’ora è chiaro che il mondo, inteso come società globalizzata, sarà molto diverso da come lo abbiamo lasciato alla vigilia di questa emergenza sanitaria. D’altronde, lo stesso Papa Francesco aveva prefigurato, in più circostanze, a credenti e non credenti, uno scenario inedito: “questa non è un’epoca di cambiamenti, ma un cambiamento d’epoca”. Si tratta di un nuovo capitolo della Storia che, come credenti, dobbiamo scrivere insieme coltivando una spiritualità più intensa, un sapere più alto, una capacità di riflettere più vigorosa, un’intelligenza morale che ponga un freno al selvaggio e prorompente interesse di parte. Tutto questo nella certezza che nonostante le nostre negligenze, la nostra Storia è storia di salvezza.