“Sarebbe bello se smettessimo di vivere in conflitto e tornassimo invece a sentirci in cammino, aperti alla crisi”. Si è concluso con questo sogno il tradizionale discorso alla Curia Romana per gli auguri natalizi, in cui Francesco, in questo Natale di pandemia, ha esortato a non confondere la crisi con il conflitto: “La logica del conflitto cerca sempre i ‘colpevoli’ da stigmatizzare e disprezzare e i ‘giusti’ da giustificare per introdurre la consapevolezza – molte volte magica – che questa o quella situazione non ci appartiene”. “La Chiesa, letta con le categorie di conflitto – destra e sinistra, progressisti e tradizionalisti – frammenta, polarizza, perverte e tradisce la sua vera natura”, il monito del Papa:
la Chiesa “è un corpo perennemente in crisi proprio perché è vivo, ma non deve mai diventare un corpo in conflitto, con vincitori e vinti. Infatti, in questo modo diffonderà timore, diventerà più rigida, meno sinodale, e imporrà una logica uniforme e uniformante, così lontana dalla ricchezza e pluralità che lo Spirito ha donato alla sua Chiesa”.
“La novità introdotta dalla crisi voluta dallo Spirito non è mai una novità in contrapposizione al vecchio”, precisa Francesco: “tutte le resistenze che facciamo all’entrare in crisi lasciandoci condurre dallo Spirito nel tempo della prova ci condannano a rimanere soli e sterili. Al massimo in conflitto”. “Se un certo realismo ci mostra la nostra storia recente solo come la somma di tentativi non sempre riusciti, di scandali, di cadute, di peccati, di contraddizioni, di cortocircuiti nella testimonianza, non dobbiamo spaventarci, e neppure dobbiamo negare l’evidenza di tutto quello che in noi e nelle nostre comunità è intaccato dalla morte e ha bisogno di conversione”, l’invito del Papa, che mette in guardia “dal
giudicare frettolosamente la Chiesa in base alle crisi causate dagli scandali di ieri e di oggi”.
“Quante volte anche le nostre analisi ecclesiali sembrano racconti senza speranza”, il monito di Francesco:
“Chi non guarda la crisi alla luce del Vangelo, si limita a fare l’autopsia di un cadavere”.
”Si deve smettere di pensare alla riforma della Chiesa come a un rattoppo di un vestito vecchio, o alla semplice stesura di una nuova Costituzione Apostolica. La riforma della Chiesa è un’altra cosa”, puntualizza il Papa a proposito del processo di riforma della Curia messo da lui in atto fin dall’inizio del pontificato: “Non si tratta di rattoppare un abito, perché la Chiesa non è un semplice ‘vestito’ di Cristo, bensì è il suo corpo che abbraccia tutta la storia”, prosegue Francesco:
“Noi non siamo chiamati a cambiare o riformare il Corpo di Cristo – Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e per sempre! – ma siamo chiamati a rivestire con un vestito nuovo quel medesimo Corpo, affinché appaia chiaramente che la Grazia posseduta non viene da noi ma da Dio”.
“La Chiesa è sempre un vaso di creta, prezioso per ciò che contiene e non per ciò che a volte mostra di sé”, l’immagine scelta dal Papa: “Questo è un tempo in cui sembra evidente che la creta di cui siamo impastati è scheggiata, incrinata, spaccata. Dobbiamo sforzarci affinché la nostra fragilità non diventi ostacolo all’annuncio del Vangelo, ma luogo in cui si manifesta il grande amore con il quale Dio, ricco di misericordia, ci ha amati e ci ama”. “Nessuna modalità storica di vivere il Vangelo esaurisce la sua comprensione”, ricorda Francesco: “Se ci lasciamo guidare dallo Spirito Santo, ogni giorno ci avvicineremo sempre di più a tutta la verità. Al contrario,
senza la grazia dello Spirito Santo, si può persino cominciare a pensare la Chiesa in una forma sinodale che però, invece di rifarsi alla comunione, arriva a concepirsi come una qualunque assemblea democratica fatta di maggioranze e minoranze – come un Parlamento ad esempio – e questa non è la sinodalità. Solo la presenza dello Spirito Santo fa la differenza”.
“Ognuno di noi, qualunque posto occupi nella Chiesa, si domandi se vuole seguire Gesù con la docilità dei pastori o con l’auto-protezione di Erode, seguirlo nella crisi o difendersi da lui nel conflitto”, l’invito all’esame di coscienza, a partire dalla consapevolezza che “la crisi è movimento, fa parte del cammino. Il conflitto, invece, è un finto cammino, è un girovagare turistico, senza scopo e finalità, è rimanere nel labirinto, è solo spreco di energie e occasione di male”, e il primo male a cui porta, dal quale stare lontani, è il chiacchiericcio, che “trasforma ogni crisi in conflitto”: anche in Curia, che ha “tante porte e finestre”.
“Non vi sia nessuno che ostacoli volontariamente l’opera che il Signore sta compiendo in questo momento”,
l’auspicio finale, unito agli auguri e al “grazie per il vostro lavoro”. “I poveri sono il centro del Vangelo”, aggiunge a braccio il Papa, citando le parole di “quel santo vescovo brasiliano: ‘Quando mi occupo dei poveri dicono di me che sono santo, ma quando mi domando perché c’è tanta povertà mi dicono che sono comunista’”.