“La democrazia può essere vittima della pandemia se non siamo capaci di cogliere l’occasione per approfondire la coscienza civica, la ricerca collettiva e effettiva del Bene Comune, uscendo dagli interessi individuali di persone, gruppi, categorie sociali o nazioni per sintonizzarci sul maggior bene possibile per tutta l’umanità, ponendo i più deboli al primo posto nelle decisioni complesse che si devono prendere”. Padre Arturo Sosa Abascal è il 30° successore di sant’Ignazio di Loyola alla guida della Compagnia di Gesù e, dal 2018, il presidente dell’Unione superiori generali (Usg).
Lei ha più volte ripetuto che una delle vittime della pandemia potrebbe essere la democrazia.
La democrazia è stata fortemente minacciata negli ultimi anni dall’indebolimento della coscienza civica nelle società in cui c’era e dai pochi sforzi di promuoverla nelle altre. La proliferazione di populismi di segno diverso e i fondamentalismi rivestiti da ideologie o distorsioni “religiose” sono stati la causa di questo indebolimento.
La pandemia si è convertita in molte nazioni in occasione per accelerare le tendenze autoritarie di governo e sospendere i processi democratici nella presa di decisioni.
Come si pone rispetto all’accesso al vaccino di prossima distribuzione?
La distribuzione del vaccino sarà la cartina di tornasole dei desideri di una giustizia e una responsabilità sociale che si prendono veramente cura dei più deboli della società. Sarà una prova che fa fede dell’autentica volontà democratica degli Stati nazionali e delle strutture internazionali come l’Unione Europea. Le modalità di produzione e distribuzione del vaccino saranno un segno chiaro del mondo post-covid. Dominerà la logica del mercato e i suoi vantaggi oppure si aprirà lo spazio alla logica della giustizia sociale? Servirà per colmare un poco le fratture sociali o per ingrandirle? Sarà sfruttata come occasione per fare la “politica migliore” che propone Papa Francesco in Fratelli tutti, quella che ricerca effettivamente il Bene Comune?
Ormai da 10 mesi il mondo intero è alle prese con una pandemia che ha già portato a quasi un milione e mezzo di morti. Come stanno vivendo questo periodo i religiosi?
In primo luogo, come qualunque altra persona, religioso o religiosa, siamo rimasti sopresi dalla pandemia, dalla sua diffusione e dalla sua aggressività. C’è stato un impatto così forte sulla vita che ci ha obbligato da una parte a superare la sorpresa, le paure e i disagi per noi stessi, per le nostre famiglie, per le persone che cerchiamo di servire… Dall’altra parte, è crollata ogni pianificazione del lavoro apostolico e della vita normale delle comunità.
Quanto è accaduto ci ha ricordato la nostra fragilità e ci ha fatto ritornare a bere al pozzo d’acqua viva dei nostri carismi, a ciò che dà senso e fondamento alla nostra vita.
Si è trattato anche di un’opportunità per riscoprire i vicini di casa e coloro che abitano dietro la porta accanto. Le comunità hanno condiviso più tempo insieme, hanno pregato in modo diverso e hanno aperto i loro occhi alla realtà che le circonda, scoprendo la ricchezza umana del vicinato e il contesto in cui vivono.
Tante Congregazioni sono impegnate direttamente nel campo della sanità, altre hanno dovuto ripensare la loro missione. È stato un impatto forte quello con il Coronavirus?
È stato fatto uno sforzo enorme per adattare il nostro servizio apostolico alle condizioni imposte dalla pandemia. Abbiamo dato ampio spazio alla creatività in tutti i campi per proseguire nel lavoro educativo, pastorale e in tutti i campi in cui le congregazioni religiose sono impegnate. Non ci siamo chiusi su noi stessi né limitati a proteggerci… È sorta una enorme quantità e varietà di iniziative per “dare una mano” nell’attenzione a quanti sono risultati più colpiti dalla situazione provocata dalla pandemia. Abbiamo ugualmente affrontato, pur con tuti i nostri limiti, la riflessione sull’esperienza vissuta, pensando soprattutto a come contribuire alla trasformazione della società.
Quanti religiosi sono morti nel mondo a causa del Covid?
Molti, troppi… come nel complesso della società civile. I più fragili per la loro età, salute o condizioni di vita. Non posso dare un numero esatto, perché non abbiamo ricevuto informazioni specifiche, ma soprattutto perché non è terminata la pandemia né le sue conseguenze.
La crisi che stiamo vivendo potrà essere un tempo propizio per la vita consacrata, anche in termini di vocazioni?
Non credo si possa stabilire un rapporto tra la crisi della pandemia e un aumento delle vocazioni. Le vocazioni dipendono da molti altri fattori, cominciando dalla coerenza della nostra vita con il carisma che cerchiamo di incarnare per convertirci in “modello” di vita attraente per i giovani di oggi.
Preghiamo con fede e speranza perché il Signore invii operai alla sua messe. È il Signore che chiama.
A noi il compito di aiutare a sentire questa chiamata e di accompagnare i processi di discernimento vocazionale di coloro che la sentono. Dipendiamo di più dalla qualità delle vocazioni, che non dalla loro quantità. Abbiamo bisogno di persone consacrate di valore. Se sono molte, è certamente meglio.
Dall’ultima Assemblea semestrale della Usg, è emerso il desiderio di un’esperienza sinodale della vita consacrata sul modello di quanto proposto da Papa Francesco a tutta la Chiesa.
Siamo convinti che sperimentando nella nostra vita la sinodalità possiamo contribuire di più alla Chiesa sinodale sognata dal Concilio Vaticano II, sogno che il Papa Francesco vive con intensità e vuole condividere con tutto il Popolo di Dio che cammina dietro al Signore Gesù.