Come dice san Giovanni della Croce: “Alla sera della vita saremo giudicati sull’amore”. Oltre ad essere segno di credibilità per la missione apostolica di tutti noi discepoli, l’esplosione di nuove forme di povertà ci richiama in modo inequivocabile ad una mobilitazione spirituale per la carità. Nell’Avvento in cui ci siamo appena incamminati, viviamo tempi di limitazioni, restrizioni, incertezze nei quali solo i valori della speranza e della condivisione possono allontanare le ombre cupe della disarticolazione sociale e del “tutti contro tutti”. Schiavi, ciechi, afflitti, vittime dell’ingiustizia sociale, scartati, esclusi di ieri come di oggi non sono soltanto i destinatari dell’annuncio, ma anche i veri soggetti della nuova evangelizzazione. L’esempio di don Oreste Benzi, “infaticabile apostolo della carità” secondo la definizione di Benedetto XVI, ci aiuta a tornare ad accettare come una provvidenziale benedizione quel poco che ci richiama invece all’essenzialità e alla sobrietà. Un’esortazione a compiere con gioia le opere di misericordia corporale e spirituale per risvegliare le coscienze assopite e quasi rassegnate davanti al dramma collettivo ed individuale della pandemia. Ciò che eccede non va più considerato possesso, ma deve essere impiegato, devoluto a sostenere le vecchie e nuove povertà.
L’odierna condizione di sospensione e di instabilità provocata dal Covid ci sbalordisce e deve richiamarci alla
urgente necessità di vivere la carità in ogni momento
facendo di essa il motivo propulsore di ogni nostra iniziativa ecclesiale e il parametro di verifica di ogni attività pastorale. È questa consapevolezza il primo passo di uscita da una crisi senza precedenti per vastità, conseguenze globali e pervasività. La missione di noi cristiani, come testimonia incessantemente papa Francesco, è proprio questa: portare consolazione agli afflitti, annunciare la liberazione ai prigionieri delle moderne schiavitù, restituire la vista a chi è curvo su se stesso, ridare dignità a chi ne è stato privato, divenendo capaci di vincere la desolazione morale e spirituale in cui sono precipitati milioni di persone la cui condizione è crollata per effetto del Covid. Mi riferisco soprattutto ai bambini, privati dell’aiuto necessario per essere riscattati dall’indigenza. Miseria e misericordia sono al cuore del Vangelo. È all’insegnamento evangelico della condivisione che occorre guardare per uscire dal tunnel dell’emergenza sanitaria. Nessuno si salva da solo perché nessun essere umano è un’isola. Per il credente e per ogni uomo e donna di buona volontà il soccorso alla povertà è conseguenza della scelta di Cristo come propria unica ricchezza. Condivisione significa libertà di cuore per essere servi solo di Cristo. Nella Evangelii Gaudium papa Francesco indica la strada: dobbiamo lasciarci tutti evangelizzare dai poveri. I primi evangelizzatori sono i poveri. Nell’ottica biblica il povero è la sintesi della buona Notizia e dell’annuncio di misericordia. Misericordia come scandalo per la giustizia, follia per l’intelligenza, consolazione per noi debitori. La perfezione dell’uomo è la conquista della misericordia, e la misericordia è la sintesi della lieta Notizia. I testimoni di carità come Don Benzi dimostrano che i poveri, sia per la condizione di indigenza, sia per il tendenziale non attaccamento a beni che non posseggono, sono quelli che ci possono confermare nel Vangelo. E quindi, ricordarci meglio il volto misericordioso, paterno e materno di Dio. La pandemia ci insegna molto nel male che sprigiona ma anche qualcosa di profondamente salvifico. E cioè che la “società fondata sulla gratuità”, come la chiamava don Oreste, è l’unico antidoto possibile per fermare l’autodistruzione dell’umanità.