Non è ancora la fine: prepararsi all’Avvento nella pandemia

Lo sguardo pasquale che abbiamo dovuto adottare nei mesi passati ora divenga uno sguardo escatologico, lo sguardo cristiano pieno di speranza: sia come sia, stiamo andando incontro al Signore che viene incontro a noi. Non dobbiamo allarmarci, perché non sarà questa pandemia la fine. Prepariamoci piuttosto all’incontro con Lui, che quando arriverà sorprenderà il mondo come un ladro o come un lampo, e coglierà ognuno così come ognuno avrà voluto farsi trovare: nell’apertura dell’affidamento alla vittoria di Dio sul non-senso, o nella chiusura della paura

Foto Calvarese/SIR

Come ogni anno, i Cristiani si concedono un tempo “pro memoria” del motivo per cui stanno nel mondo, ovvero per attendere la sua fine: il ritorno del Signore, il giudizio finale, la resurrezione universale. Questo tempo si chiama Avvento, ed è un peccato che, sebbene già dal nome sia chiaro il suo scopo, ovvero prepararci all’avvento finale di Cristo, la cosa in realtà passi abitualmente in sordina, e si riduca il periodo dell’anno che più strettamente definisce la natura della fede cristiana, che è una fede escatologica, a un “countdown” del Natale commercialmente inteso, con tanto di deliziosi calendari d’Avvento pieni di chicche e cioccolatini venduti nelle librerie cattoliche.

Quest’anno però il Signore ci concede una grande grazia: la possibilità di entrare nell’Avvento circondati dai segni che sin dai tempi biblici alludono tradizionalmente alla crisi della storia e alla prossimità della fine.

“Badate che nessuno v’inganni! Molti verranno nel mio nome, dicendo: ‘Sono io’, e trarranno molti in inganno. E quando sentirete di guerre e di rumori di guerre, non allarmatevi; deve avvenire, ma non è ancora la fine. Si solleverà infatti nazione contro nazione e regno contro regno; vi saranno terremoti in diversi luoghi e vi saranno carestie: questo è l’inizio dei dolori” (Mc 13, 5-8)

Mentre gli apocalittici improvvisati di ieri e di oggi hanno sempre goduto nell’identificare le crisi epocali col tempo della fine, il Vangelo è chiaro: le catastrofi, le carestie, le guerre, i terremoti, i maremoti… le pandemie… sono da sempre ingredienti presenti in ogni epoca umana, perché l’uomo, con tutto il suo carico di disordini, fissazioni e peccati, non può che avere una storia piena di problemi causati o derivati da lui – ma la fine è ben altra cosa, perché la fine della storia appartiene a Dio.

Ed eccoci qui, oggi: isolati, regolamentati, distanziati, spaventati dal contatto con l’altro, camuffati costantemente da mascherine più o meno improbabili, disinfettati in continuazione, allarmati, rinchiusi… questa pandemia, e le sue conseguenze sociali, economiche e relazionali, ci sta fiaccando, ci sta incrinando. Siamo i protagonisti di una di quelle storie che abbiamo sempre sentito raccontare o visto nei film, una di quelle storie di guerre, di epidemie, di improvvisi sovvertimenti sociali, di disastri globali.

Eccoci nel tempo che prelude la fine, perché ogni epoca umana, con i suoi disastri, prelude alla fine, perché la fine è Cristo alpha-omega, che è prossimo a ogni momento della storia. Lo sguardo pasquale che abbiamo dovuto adottare nei mesi passati ora divenga uno sguardo escatologico, lo sguardo cristiano pieno di speranza: sia come sia, stiamo andando incontro al Signore che viene incontro a noi. Non dobbiamo allarmarci (cfr. Mc 13, 7), perché non sarà questa pandemia la fine. Prepariamoci piuttosto all’incontro con Lui, che quando arriverà sorprenderà il mondo come un ladro o come un lampo, e coglierà ognuno così come ognuno avrà voluto farsi trovare: nell’apertura dell’affidamento alla vittoria di Dio sul non-senso, o nella chiusura della paura.

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