Il mondo è cambiato, lo abbiamo letto e scritto molte volte. Forse lo si dice per esorcizzare le proprie paure o forse per proteggere un mondo antico. Intanto, il “distanziamento sociale” sta aumentando le solitudini e trasformando l’altro in un pericolo. L’esperienza umana, invece, continua a sprigionare la sua forza. Penso alle parole che mi confessa una nonna: “Non riesco a non abbracciare mio nipote. Anche se è un rischio, mi fa vivere l’atto d’amore che mi attrae”.
L’informazione sta descrivendo questi mesi con il linguaggio della guerra. Parole come “coprifuoco”, “nemico invisibile”, “campo di battaglia”, “stagione del terrore”, “caduti”, mutano la percezione sociale e il senso comune del convivere. Ogni volta che si separa la “natura” dalla “cultura”, le grandi civiltà si sgretolano e le paure prendono un volto nuovo nella storia. La pandemia è solo un esempio di come natura e cultura si siano scontrate e separate. Se ci si vuole salvare insieme, occorre dunque contemplare la natura con le sue leggi e umanizzare la cultura con le sue idee e i suoi modelli. Oltre la solitudine esiste la comunità.
Questa testata con le sue tre rubriche – L’Editoriale, Il Punto e La Riforma – nasce da un desiderio: dare vita a parole pensate in una comunità, attraverso le nostre competenze, fondate nella fede che condividiamo, strutturate in un metodo e finalizzate alla costruzione del bene comune. Vogliamo capovolgere una certa bulimia della notizia. Non vogliamo sovrapporre altre voci a quelle che già ci informano ogni giorno. Cercheremo di offrire criteri di analisi e di discernimento per aiutare a prendere decisioni sui vari temi dell’agenda politica e favorire ciò che i monaci chiamavano ruminatio, un dialogo interiore positivo con la parola letta.
“L’Editoriale” sarà l’appuntamento di ogni domenica. La nostra testata è un luogo per incontrarci, interagire e riconoscerci senza conoscerci. Un chiostro sul mondo, dal quale è possibile ascoltare silenzio e parole pensate. “Il Punto” sarà invece un approfondimento di una legge approvata, un fatto da interpretare, un pensiero di un autore da approfondire per dare criteri e idee sulla realtà complessa. “La Riforma” invece sarà la nostra proposta, che guarda al domani, sui temi del lavoro e dello stato sociale, della giustizia e dell’economia e di altri temi di nostra competenza.
Abbiamo scelto di non farvi leggere polemiche. Eserciteremo la critica per offrire soluzioni alternative, ragionevoli e condivise. Ci faremo ispirare dalle parole della Bibbia e della dottrina sociale della Chiesa. Il Pontificato di Francesco ci pone davanti due grandi progetti: creare un sistema politico basato su uno sviluppo umano integrale e sentirci “Fratelli tutti” prima che competitori e nemici. Distruggere senza un piano di ricostruzione è sempre molto rischioso. Per questo offriremo cultura in piccole gocce, quelle che in natura fendono le rocce e possono più delle tempeste.
Ogni cambiamento d’epoca rinasce dai protagonisti della resistenza. Costoro rigenerano parole e, attraverso il loro sacrificio, ci aiutano a guardare lontano. Non c’è nulla che nasca per caso, nella storia ogni ricostruzione prende forma nella sua relazione con il vissuto. Questo sarà il contributo di Comunità di Connessioni. Per la Bibbia ogni ricostruzione richiede di uscire dalla propria terra, come è stato per Abramo e Sara. Lo sa Israele che è stato liberato dalla sua schiavitù. Se si è disponibili a lasciare e a partire, proprio allora, mentre si sperimenta la propria radicale debolezza, il futuro è donato da Dio. Abramo e Sara, un anziano e una sterile, generano grazie alla loro disponibilità. La vita sociale e politica è regolata dallo stesso principio. È il tempo del deserto che custodisce la promessa di una nuova terra.
Cosa è urgente (ri)generare? Ciò che nella storia umana ha sempre funzionato: parole e volti, luoghi e idee da nutrire dalla radice spirituale della vita.
Quella tecnocratica ci ha svuotato del “perché” e del “per chi” viviamo ed esistiamo. Solo così ogni gesto e parola, anche le più piccole, porteranno in sé la vocazione del più grande e rivoluzionario atto politico. È vero, “per istinto” siamo fratricidi, ma “per cultura” possiamo diventare prossimi e giusti. “Sono forse io il custode di mio fratello?” risponde Caino a Dio che gli chiede: “Dov’è tuo fratello?”. Ma “nel momento in cui metto in dubbio quella dipendenza – scrive E. Levinas – e chiedo come Caino che mi si dica per quale ragione dovrei curarmene, abdico alla mia responsabilità e non sono più un soggetto morale”.
Essere soggetti morali richiede un lavoro culturale silenzioso: quello di bonificare la terra che è diventata terreno di scontro e di lotta, di corruzione e di divisione per guardare tutti verso un orizzonte umano e possibile, altrimenti il frutto non crescerà per nessuno. È, questo, un servizio che abbiamo scelto di vivere con la pazienza del contadino. Dopo la semina vedremo germogliare il raccolto.
(*) direttore e fondatore di “Comunità di Connessioni”