L’immagine dei camion militari con le bare dei morti per il Covid, che la sera del 18 marzo scorso lasciavano Bergamo verso i forni crematori di tante città d’Italia, penso sia facilmente considerabile da tanti come icona di questo 2 novembre 2020, nel quale la commemorazione di tutti i defunti assume una densità tutta particolare. Vorrei però inserirla in una cornice fatta da un contesto ecclesiale e da un ricordo personale. Nel vortice della bufera, quando gli ospedali non avevano più spazio per raccogliere i defunti, che cominciavano ad essere accatastati nelle camere mortuarie, le autorità civili e sanitarie si sono rivolte alla diocesi per cercare una soluzione che desse un’ultima carezza a quelle persone che erano state strappate dalle loro famiglie. Donne e uomini morti in solitudine, lontani dai loro cari, assistiti da medici e infermieri, spesso stremati, che in tanti casi si sono fatti anche tramite per un’ultima preziosa e desiderata benedizione del Signore.
Proposi allora che la chiesa del cimitero cittadino dedicata proprio a tutti i Santi fosse quell’abbraccio che li accogliesse, come premura della comunità cristiana e della società civile, come affidamento al Padre misericordioso.
Quei defunti che non avrebbero potuto avere la vicinanza dei loro cari nemmeno per il funerale, avrebbero invece potuto sentire la compagnia dei Santi che nel grande mosaico di quella chiesa si dispongono come in cerchio, uno accanto all’altro, formando un corteo, come comunità che stringendosi attorno pregava con loro e per loro accompagnandoli per mano nel loro bussare alle porte del paradiso. In quella processione di Santi umilmente mi sono voluto inserire anche io, a nome di tutta la diocesi, di tutte le famiglie, di tutte le nostre comunità, come segno di unione tra la Chiesa del cielo e quella ancora pellegrina sulla terra, tra le quali quei defunti diventavano “pontefici”, letteralmente costruttori di un ponte prezioso. E questo è il mio ricordo personale. Il giorno prima, da solo, in silenzio, nella penombra di quelle mura dove solo l’oro dei mosaici dell’abside delineava un pallido ma lucente orizzonte, sono passato pellegrino a benedire bara per bara, quasi come se la mia mano che segnava nell’aria il segno della croce fosse un’ultima carezza ad ognuno di quei defunti, intendendo attraverso loro raggiungere ogni anima dei tantissimi nostri fedeli che in quei giorni ci avevano lasciato.
Dalle mie labbra sgorgava spontaneo chiedere al Signore di donare loro l’eterno riposo e che splendesse per essi la sua luce perpetua. Dal cuore commosso e pieno di lacrime che a fatica riuscivo a trattenere, in modo quasi inaspettato, emergeva però un’altra preghiera, quella all’angelo custode. Spontaneamente chiedevo a loro, che sentivo in comunione con tutti i Santi, di illuminare i nostri passi incerti, di custodire le nostre case minacciate dal virus, di reggere e proteggere i cuori spaventati e feriti, di governare e guidare verso la salvezza noi, che a loro eravamo stati affidati dalla pietà celeste, cioè da quell’amore di Dio che ora potevano contemplare faccia a faccia.
La chiesa di ognissanti nel cimitero di Bergamo, immagine della Comunità di Tutti i Santi in cielo, quel giorno era vangelo di vita che vince la morte, di sommessa alleluia che riempie il silenzio delle lacrime, di alba pallida che squarcia le ombre più buie, di speranza di risurrezione che toglie il diritto di avere l’ultima parola alla croce, ad ogni croce pesante che il virus ha posto sulle spalle di tante vite e di tante famiglie. Così è stato per me quel giorno, così sia per tutti nella memoria di questo mistero che il 2 novembre ci fa celebrare commemorando i nostri cari.
(*) vescovo di Bergamo