“Le lacrime non sono universali, ognuno ha le sue lacrime”. È quello che si impara dalla preghiera dei Salmi, in cui è centrale una domanda: “Fino a quando?”. Lo ha detto il Papa, che – per la prima volta – non ha salutato i fedeli né all’ingresso, né all’uscita dell’Aula Paolo VI, a causa delle nuove misure restrittive imposte dall’emergenza sanitaria in corso. Al termine dell’udienza, un saluto e una benedizione corale e prolungata dal palco, da solo, ricambiate dagli applausi fragorosi dei presenti che lo acclamavano: “W il Papa!”. “Voi siete distanti e prudenti come si deve fare – ha detto loro poco prima il Santo Padre – ma succede che quando scendo tutti vengono e si ammucchiano, e così c’è pericolo di contagio”. “Scusatemi se oggi vi saluto da lontano – ha concluso esortando a mettere la mascherina e a mantenere il distanziamento sociale – ma se tutti come buoni cittadini compiamo le prescrizioni delle autorità, questo sarà di aiuto per superare la pandemia”.
“Per pregare bene dobbiamo pregare come siamo, non truccare l’anima”, esordisce Francesco: . “Andare davanti al Signore come siamo, con le cose belle e anche con le cose brutte che nessuno conosce, ma noi dentro conosciamo”, l’invito a proposito dei Salmi, dove “troviamo tutti i sentimenti umani: le gioie, i dolori, i dubbi, le speranze, le amarezze che colorano la nostra vita”. “Leggendo e rileggendo i salmi, noi impariamo il linguaggio della preghiera”, assicura il Papa: ”In questo libro non incontriamo persone eteree, astratte, gente che confonde la preghiera con un’esperienza estetica o alienante”. I salmi, infatti, non sono testi nati a tavolino, sono invocazioni, spesso drammatiche, che sgorgano dal vivo dell’esistenza. Per pregarli basta essere quello che siamo”. Nei salmi “sentiamo le voci di oranti in carne e ossa, la cui vita, come quella di tutti, è irta di problemi, di fatiche, di incertezze”.
“Fino a quando?”.
È questa la domanda che percorre tutti i salmi, e attraversa anche la nostra vita. “Ogni dolore reclama una liberazione, ogni lacrima invoca una consolazione, ogni ferita attende una guarigione, ogni calunnia una sentenza di assoluzione. ‘Fino a quando dovrò soffrire questo, ascoltami Signore?’. Quante volte abbiamo pregato così: ‘Fino a quando, smettila Signore!’”. “Ponendo in continuazione domande del genere, i salmi ci insegnano a non assuefarci al dolore, e ci ricordano che la vita non è salvata se non è sanata”, spiega Francesco:
“L’esistenza dell’uomo è un soffio, la sua vicenda è fugace, ma l’orante sa di essere prezioso agli occhi di Dio, per cui ha senso gridare”.
La preghiera dei Salmi “è la testimonianza di questo grido: un grido molteplice, perché nella vita il dolore assume mille forme, e prende il nome di malattia, odio, guerra, persecuzione, sfiducia… Fino allo ‘scandalo’ supremo, quello della morte”.
“Tutti soffrono in questo mondo: sia che si creda in Dio, sia che lo si respinga”. Nei Salmi, però, il dolore diventa relazione, rapporto: “grido di aiuto che attende di intercettare un orecchio che ascolti. Non può rimanere senza senso, senza scopo”.
“Anche i dolori che subiamo non possono essere solo casi specifici di una legge universale”, precisa il Papa: “sono sempre le ‘mie’ lacrime. Le lacrime non sono universali, sono le mie lacrime: ognuno ha le proprie.
Le mie lacrime, il mio dolore mi spinge ad andare avanti con la preghiera. Sono le mie lacrime, che nessuno ha mai versato prima di me: tanti hanno versato lacrime, ma le mie lacrime sono mie, il dolore è mio, la sofferenza è mia”. “Prima di entrare in aula – racconta a braccio il Papa – ho incontrato i genitori del sacerdote della diocesi di Como che è stato ucciso nel suo servizio per aiutare. Le lacrime di quei genitori sono le lacrime loro, e ognuno di loro sa quanto ha sofferto nel vedere questo figlio che ha dato la vita nel servizio del povero”. “Quando noi vogliamo consolare qualcuno non troviamo parole, perché non possiamo arrivare al suo dolore, perché il suo dolore è suo, le lacrime sono sue”, l’esempio scelto da Francesco: “Lo stesso con noi: il mio dolore è mio, le lacrime sono mie, e con queste lacrime, con questo dolore, mi rivolgo al Signore”.
“Tutti i dolori degli uomini per Dio sono sacri”, perché “davanti a Dio non siamo degli sconosciuti, o dei numeri. Siamo volti e cuori, conosciuti ad uno ad uno, per nome”. Il salmista, e chi prega con i Salmi, “sa che, se anche tutte le porte umane fossero sprangate, la porta di Dio è aperta”, spiega Francesco: “Se anche tutto il mondo avesse emesso un verdetto di condanna, in Dio c’è salvezza”. “Il Signore ascolta: qualche volta nella preghiera basta sapere questo”, dice il Papa:
“Non sempre i problemi si risolvono. Chi prega non è un illuso: sa che tante questioni della vita di quaggiù rimangono insolute, senza via d’uscita; la sofferenza ci accompagnerà e, superata una battaglia, ce ne saranno altre che ci attendono. Però, se siamo ascoltati, tutto diventa più sopportabile”.
Per Francesco, “la cosa peggiore che può capitare è soffrire nell’abbandono, senza essere ricordati”: “Da questo ci salva la preghiera. Perché può succedere, e anche spesso, di non capire i disegni di Dio. Ma le nostre grida non ristagnano quaggiù: salgono fino a lui, al Signore, che ha cuore di Padre, e che piange lui stesso per ogni figlio e figlia che soffre e che muore”.
“A me fa bene, nei momenti brutti, pensare a Gesù che piange, rivela a braccio il Santo Padre: “quando pianse guardando Gerusalemme, quando pianse davanti alla tomba d Lazzaro. Dio ha pianto per me. Dio piange, piange per i nostri dolori, perché Dio ha voluto farsi uomo per poter piangere”.
“Pensare che Gesù piange con noi nel dolore è una consolazione, ci aiuta ad andare avanti”, ha concluso Francesco: “Se rimaniamo nella relazione con Lui, la vita non ci risparmia le sofferenze, ma si apre a un grande orizzonte di bene e si incammina verso il suo compimento. Coraggio, avanti con la preghiera, Gesù sempre è accanto a noi!”.