Fratelli tutti. Di Nicola (sociologa): “Il Papa non è contro i media, ma ci mette in allarme sul loro potere”

"La comunicazione deve rimanere una comunicazione interpersonale, faccia a faccia, in modo da poter cogliere il respiro, la mimica, il gesto, tutto quello che caratterizza l’incontro reale con l’altro. Quando l’incontro è a tu per tu, posso condividere le gioie e i dolori del mio fratello: si crea un’empatia diretta, che i mezzi digitali non sempre possono garantire, in quanto soggetti a possibili manipolazioni che orientano la comunione in un determinato senso". Così la sociologa Giulia Paola Di Nicola commenta per il Sir la parte della Fratelli tutti dedicata alla comunicazione.

Foto Calvarese/SIR

“Il Papa non è contro i media, ma ci mette in allarme sul loro potere”. Ne è convinta la sociologa Giulia Paola Di Nicola, che commenta così per il Sir la parte della “Fratelli tutti” dedicata alla comunicazione. “La comunicazione deve rimanere una comunicazione interpersonale, faccia a faccia”, il pensiero di Francesco: il suo “non è un rifiuto a priori del mondo digitale, ma un invito a prestare più attenzione all’essenza profonda della comunicazione, per esserne all’altezza”.

“La connessione digitale non basta per gettare ponti, non è in grado di unire l’umanità”. Professoressa Di Nicola, nella sua terza enciclica il Papa usa parole forti, per descrivere quella che chiama “illusione della comunicazione”. Come interpretarle?
Non credo che si tratti di un rifiuto della modernità: se si entra un po’ nella sua mentalità, credo che il Papa voglia dire che

la comunicazione deve rimanere una comunicazione interpersonale, faccia a faccia,

in modo da poter cogliere il respiro, la mimica, il gesto, tutto quello che caratterizza l’incontro reale con l’altro. Quando l’incontro è a tu per tu, posso condividere le gioie e i dolori del mio fratello: si crea un’empatia diretta, che i mezzi digitali non sempre possono garantire, in quanto soggetti a possibili manipolazioni che orientano la comunione in un determinato senso.

Quello del Papa, insomma, non è un rifiuto a priori del mondo digitale, ma un invito a prestare la giusta attenzione all’essenza più profonda della comunicazione, per esserne all’altezza.

Se, invece, mi chiudo in me stesso, quando esco di casa non riconosco più neanche il mondo in cui mi trovo.

Il rimprovero di Francesco è rivolto soprattutto al mondo della comunicazione in rete, dove pullulano “forme insolite di aggressività, di insulti, maltrattamenti, offese, sferzate verbali fino a demolire la figura dell’altro”. Il nostro modo di comunicare si è “disumanizzato”?
È un rischio reale, per evitare il quale si tratta di collocarci sulla giusta lunghezza d’onda.

Il Papa non è contro i media, ma ci mette in allarme sul loro potere.

L’essenziale, avverte, è prestare attenzione ai quei media che sobillano l’odio, mettendo a rischio soprattutto i più fragili, che vengono spinti ad imitarli. Di fronte al pericolo che alcuni media esercitino un’influenza finalizzata ad esaltare l’odio,

bisogna imparare l’arte della pazienza per intessere legami.

Ci vuole pazienza per capire l’altro: solo così si può fermare la progressione all’odio. Tutto ciò è frutto dell’educazione e della formazione.

I circuiti chiusi delle piattaforme, in cui ci si incontra solo tra simili con la logica dei like, “facilitano la diffusione di informazioni e notizie false, fomentando pregiudizi e odio”, scrive Francesco: si può, e come, uscire dalla logica banalizzante e semplicistica della comunicazione binaria, polarizzata su due fronti opposti?
È il messaggio centrale della Fratelli tutti, nell’ampia parte dedicata al dialogo:

siamo tutti fratelli perché cerchiamo il bene comune, non perché diamo spazio alle idee altrui o alle nostre.

Il dialogo non è calarsi l’identità e assumere il pensiero altrui in maniera supina. Il dialogo è dire: sentiamoci e parliamo, perché possa nascere meglio un mondo nuovo. In questa prospettiva, il Papa invita a non partire, da cattolici, soltanto da un’apologia di sé, per difendere sé stessi o per convertire gli altri. Il punto di riferimento è il Vangelo, che ci dice che Gesù è venuto per tutti, per dialogare in favore del bene comune.

“Prigionieri della virtualità, abbiamo perso il gusto della realtà”, denuncia Francesco. Il Covid ha aggravato questa condizione esistenziale?
Ogni momento di crisi, oltre a gravi problemi, presenta anche molte risorse e opportunità. Basti pensare a quante persone, anche non credenti, durante il lockdown hanno seguito la messa mattutina del Papa, forse spinte dalla paura, dallo stare in casa o dall’ammirazione per chi prega. Il covonavirus ci ha offerto la possibilità di stare più a contatto con la nostra anima, di avere più tempo per la meditazione e la preghiera. Senza contare i vantaggi dello “smart working”, che per molte persone è stato una grazia: ha risparmiato tragitti giornalieri pesanti da casa al lavoro, ha reso l’ambiente meno inquinato e più ospitale. Abbiamo imparato che molte cose, anche se non tutte, si possono fare “on line”: una lezione da cui potremmo trarre vantaggio a favore di tutti.

“Un patto sociale realistico e inclusivo dev’essere anche un patto culturale”, si legge al n. 219 della Fratelli tutti. Da dove iniziare per invertire la tendenza attuale ad un livellamento verso il basso?
Il termine “cultura” va inteso in senso lato: è dall’istruzione che si provoca un cambiamento. È molto difficile che possano farlo i media, è un compito che passa anzitutto per i rapporti personali.

L’”amicizia sociale”, come scrive il Papa, è la forma più efficace di trasmissione di cultura:

è un’opera “artigianale” fatta di racconti e di storie veicolati tramite i rapporti tra le persone. Sono le persone di buona volontà che creano amicizia sociale. Non a caso Francesco parla di gentilezza: quando il messaggio arriva guardando in faccia le persone, tutto diventa più credibile.

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