Avrei voluto scrivere di altro questa settimana… eppure il tema che oggi mi ritrovo a condividere con voi è riaffiorato dalla memoria di molti con cui ho avuto la fortuna di condividere in questi giorni impressioni rimaste del tempo della quarantena, e dunque ho ritenuto che valesse la pena di fissarlo per iscritto, perché anche questo può essere un punto importante da non dimenticare, da custodire e da ripresentare a tempo debito.
Si tratta delle festività, e di come le abbiamo passate durante il lockdown.
Con un’aria in fondo stupefatta, i giovani che mi hanno raccontato della loro quarantena rievocavano come avessero sentito più vere che mai le festività pasquali di quest’anno.
Ma come? Nell’unico anno in cui non è stato possibile partecipare alle liturgie in chiesa, vedere parenti, godere dei banchetti luculliani di mamme e nonne… le feste sono state sentite più del solito?
Sì, perché le liturgie, che pure sono oggettivamente insostituibili, sono state vissute per quanto possibile in streaming nel raccoglimento casalingo; un pallido surrogato senz’altro, che però per tanti sono state occasione di riscoperta della fede. A ciò va aggiunta la lodevole iniziativa di parrocchie e diocesi di produrre libretti per delle “liturgie domestiche”, un insieme di riti familiari e di gesti simbolici che, attingendo al sacerdozio battesimale, ha permesso ai fedeli di vivere con intensità emotiva e spirituale i momenti decisivi del Triduo pasquale, liturgicamente loro interdetto.
Su questo punto alla testimonianza dei giovani si unisce quella delle famiglie, che mi hanno confermato che questa è stata la Pasqua più bella della loro vita, perché si sono sentite coinvolte in attività inusuali e altamente evocative, come ad esempio il “pane della memoria”, un pane da impastare il Giovedì Santo mattina mentre ci si raccontano i doni che Dio ha fatto alla propria famiglia in vari momenti, e da mangiare poi la sera del Giovedì stesso e anche il Venerdì Santo, durante un momento di preghiera davanti a un crocifisso messo in un posto di rilievo e adornato di fiori.
La Pasqua del coronavirus e della clausura forzata è stata la più bella della vita di molti perché non c’è stato nulla di scontato né di automatico:
chi ha voluto, ha potuto immergersi nel proprio battesimo ed esercitare in prima persona un aspetto del culto troppo trascurato da noi cristiani, rispetto a quanto vivono invece i nostri fratelli ebrei nelle loro liturgie domestiche. Non si tratta di minimizzare l’importanza della liturgia, che è e rimane la sorgente della Vita nuova e l’espressione oggettiva dell’Alleanza con Dio; si tratta di riscoprire anche una dimensione personale e quotidiana della religiosità che trovi ciascuno capace di intessere con Dio e con i fratelli un linguaggio spirituale fatto di segni che, per quanto semplici, dicano che la fede ha raggiunto il livello affettivo (e creativo) della persona. Dobbiamo sperare che “a partire dall’anno del coronavirus” la Chiesa sappia custodire e promuovere sempre questo aspetto della vita cristiana, non antitetico bensì complementare al culto pubblico della liturgia.
Naturalmente la bellezza inaspettata di queste festività è dipesa anche dalla valorizzazione estrema delle poche relazioni accessibili in quarantena. C’è chi è dovuto stare da solo; c’è chi è dovuto stare con i suoi familiari più stretti; in ogni caso, il carosello abituale di viaggi, parenti, tavolate ecc. quest’anno non c’è stato – solo per scoprire che così le feste si sono vissute meglio, senza stress, senza spese eccessive, senza sballottamenti qua e là.
Una Pasqua nella quiete, nel raccoglimento, nell’essenzialità.
Ripeto: per molti, la Pasqua più bella della loro vita.
L’esercizio di questa settimana è un po’ particolare, perché richiede una certa progettualità. Prova a sfidare l’abituale, lo scontato, l’ovvio: organizzati in modo da passare le prossime feste di Natale e di Pasqua (nel 2021 sarà il 4 aprile) a casa tua, senza invitati esterni, senza viaggi, senza tavolate. Prova ad affrontare le feste in un modo che per l’indole italiana rasenta l’assurdo: solo con quelli con cui vivi, cucinando solo per voi, partecipando alle liturgie, e poi prendendovi dei momenti di preghiera e approfondimento in casa. Stop.
Vediamo se starai peggio o meglio, dopo.
Non si tratta di non andare da mamma e papà: si tratta semplicemente di andarci dopo (o prima) delle feste, per poterle vivere una volta tanto per se stesse, e non per il contorno in ultima analisi più stressante che altro.
L’ipotesi ti fa paura?
E se lo scorso settembre ti avessero detto che di lì a poco avresti dovuto vivere tre mesi chiuso in casa tua, avresti avuto paura?