“Oggi ricorre la memoria liturgica del Santo Fratello Albert Chmielowski, protettore dei poveri”. Lo ha ricordato il Papa, salutando al termine dell’udienza i fedeli polacchi collegati attraverso i media. “Egli aiutava i senzatetto e gli emarginati a ritrovare un posto degno nella società. Seguiamolo nell’amore fraterno, portando aiuto agli affamati, agli sconfitti della vita, ai poveri, ai bisognosi e soprattutto ai senzatetto”. Dedicata alla preghiera di Mosè – “uomo come noi, con i suoi “dubbi” e “timori” – l’udienza di oggi, trasmessa in diretta streaming dalla biblioteca privata. La “grandezza” dei pastori è “non dimenticare il popolo”, non rinnegarlo mai, l’insegnamento del patriarca: “Non vende la sua gente per far carriera. Non è un arrampicatore, è un intercessore”.
“Quando Dio lo chiama, Mosè è umanamente un fallito”,
esordisce Francesco a proposito del ritratto dell’Esodo, che parla dei suoi “sogni di gloria” svaniti: “Da giovane aveva provato pietà per la sua gente, e si era anche schierato in difesa degli oppressi. Ma presto scopre che, nonostante i buoni propositi, dalle sue mani non sgorga giustizia, semmai violenza. Mosè non è più un funzionario promettente, destinato ad una rapida carriera, ma uno che si è giocato le opportunità, e ora pascola un gregge che non è nemmeno suo”. Ed è proprio nel silenzio del deserto di Madian che Dio convoca Mosè alla rivelazione del roveto ardente: “Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe”. “A Dio che parla, che lo invita a prendersi nuovamente cura del popolo d’Israele, Mosè oppone le sue paure, le sue obiezioni”, osserva il Papa:
“Con questi timori, con questo cuore che spesso vacilla”, Mosè “appare uomo come noi”:
“Anche questo succede a noi, quando abbiamo dei dubbi: ma come possiamo pregare ? Non ci viene di pregare. Ed è per questa sua debolezza, oltre che per la sua forza, che ne rimaniamo colpiti”.
“Sempre attaccato al popolo: Mosè non ha mai ha perso la memoria del suo popolo, e questa è una grandezza dei pastori: non dimenticare il popolo, non dimenticare le radici”,
l’identikit a braccio. “Mosè non rinnega Dio, ma neppure rinnega il suo popolo”, l’omaggio di Francesco: “è coerente con il suo sangue, è coerente con la voce di Dio”. Non è “un condottiero autoritario e dispotico: è un uomo del popolo. Perfino nei momenti più difficili, perfino nel giorno in cui il popolo ripudia Dio e lui stesso come guida per farsi un vitello d’oro, Mosè non se la sente di mettere da parte la sua gente”. Mosè “è il ponte, l’intercessore tra il popolo e Dio.
Non vende la sua gente per far carriera. Non è un arrampicatore, è un intercessore”.
“Che bell’esempio per tutti i pastori, che devono essere ponte!”, esclama il Papa a braccio: “Per questo li si chiama pontifex: i pastori sono dei ponti tra il popolo al quale appartengono e Dio, a cui appartengono per vocazione. Così è Mosè”. “Non voglio fare carriera con il mio popolo”. E’ questa, per il Papa, la preghiera che i veri credenti coltivano nella loro vita spirituale: “Mosè, in questo senso, è stato il più grande profeta di Gesù, nostro avvocato e intercessore”. “E anche oggi Gesù è il Pontefice tra noi e il Padre”, commenta Francesco: “Intercede per noi: fa vedere al Padre le piaghe che sono il prezzo della nostra salvezza, e intercede. Mosè è figura di Gesù intercessore. Ci sprona a pregare con il medesimo ardore di Gesù, a intercedere per il mondo, a ricordare che esso, nonostante tutte le sue fragilità, appartiene sempre a Dio”.
“Tutti appartengono a Dio”,
conclude il Papa ancora una volta fuori testo: “i più brutti peccatori, la gente più malvagia, i dirigenti più corrotti, sono figli di Dio, e Gesù intercede per tutti. E il mondo vive e prospera grazie alla benedizione del giusto, alla preghiera di pietà che il santo, il giusto, l’intercessore, il sacerdote, il vescovo, il Papa, il laico, qualsiasi battezzato eleva incessante per gli uomini, in ogni luogo e in ogni tempo della storia”.