Pentecoste, cinquanta giorni dopo la celebrazione della sconfitta della morte con la Luce del Risorto, ogni anno ci apre uno squarcio nuovo ed inedito sul dono che porta all’umanità e alla Chiesa tutta.
Non si tratta però di un dono ma del Dono, dello Spirito stesso che ci investe e ci trasforma.
Pneuma è lo Spirito di Dio, viene a liberarci da ogni legame che limita la nostra vita condizionandola e ci conduce invece alla libertà autentica. Tocca ed incendia il profondo del nostro desiderio di guardare a Dio e ad ogni cosa proprio come a dono di Dio: non come a qualche cosa da trattenere in mano e non mollare, quanto piuttosto come ad una spinta, ad una sollecitazione a guardare se stessi, gli altri e la storia intera dell’umanità con uno sguardo nuovo e del tutto svincolato da impedimenti negativi.
Lo Spirito ci porta nella direzione del Logos, come insegna il Prologo del Vangelo di Giovanni, cioè verso la Parola, verso Gesù Cristo. In Lui ogni nostro interrogativo, anche quello che parte dal più profondo del cuore, trova la sua luce di chiarezza e la sua ragione.
Tutti in Lui possiamo riconoscerci, guardarci come fratelli, come sorelle e quindi intenderci l’un l’altro.
La Scrittura afferma: “Lo Spirito viene in aiuto della nostra debolezza”. Dobbiamo ammettere che questa dimensione ci appartiene, la tocchiamo con mano sia nel nostro sentire, sia nel nostro corpo. È un dato tipico del nostro essere fragili umani.
Egli però, se Gli apriamo la porta del cuore e del nostro essere, ci infonde forza e coraggio. Ci insegna a pregare ma anche a vivere in pienezza, pur in tempi calamitosi come il nostro, flagellato dalla pandemia.
I suoi “gemiti ineffabili” possono sgorgare dal di dentro, sfiorare la nostra esperienza quotidiana suscitando il desiderio che forgia una mentalità diversa e, lentamente, plasmare in noi quella di Cristo. Non in astratto ma nell’esperienza viva con presa diretta.
Il disegno di Dio che, fin dalla creazione, ci dice come il primo ad amarci con tenerezza, con hesed, è proprio Egli stesso, il Creatore, vuole farsi strada, vuole magnetizzarci e farci comprendere che proprio in questa adesione sta tutta la nostra salvezza.
I gemiti ineffabili sono Suoi, dello Spirito, che prega in noi e per noi. Dobbiamo apprendere ad ascoltarLo, seguirLo.
Non dobbiamo ritrovarci a osservare il nostro ombelico in quel gioco fra io e me che è inconcludente e dannoso, dobbiamo osare lasciarci trasportare, affidarci in libertà gioiosa, smettere di sproloquiare in un monologo che borbotta stentatamente e, al contrario, slanciarci in una lode serena.
Ogni stanchezza interiore allora scomparirà. Ogni tormento e difficoltà troveranno un coraggio cui attingere.
Anche in questa Pentecoste in cui non possiamo accogliere il Dono in una notte di veglia corale, alla luce delle fiaccole, a maggior ragione dobbiamo lasciar vibrare la nostra sensibilità interiore all’unisono. Sentirci tutti fratelli e sorelle in una lotta che ci sembra impari e, magari, già carica di sconfitta, mentre lo sguardo può poggiare su Gesù Cristo a cui lo Spirito, il Soffio, ci conduce. Ed è vittoria.
Solo allora potremo dare risposta a quegli interrogativi che urgono dentro di noi e fuori, nel mondo, premono con pressione: perché? Che cosa significa tutto questo?
Lo Spirito non annulla l’intelligenza, non sbarra la porta alla ricerca, ben al contrario sollecita a collaborare a quel disegno di salvezza di noi che ci sappiamo, tutti, figli di Dio.
Allora la pandemia sarà pervasa dal Soffio, da noi stessi che agiremo sempre con consapevolezza e grande umanità verso tutti e ciascuno.