Un’occasione “per ricostruire il Paese” dopo il coronavirus e per “fare popolo”, andando al di là delle polemiche e cercando ciò che ci unisce. Padre Gianmatteo Roggio, consigliere della Pontificia Academia Mariana Internationalis (Pami), spiega al Sir il senso dell’affidamento dell’Italia a Maria, promosso dalla Cei il 1° maggio al Santuario di Caravaggio, ricordandone la valenza di “atto pubblico”, oltre che di preghiera. “Non riguarda soltanto i credenti, ma i diversi modi di essere cittadini”, precisa. In Europa, come in Italia, i santuari mariani in tempi di pandemia si attivano per iniziative di preghiera, sanità ed evangelizzazione via web.
Che valore ha l’atto di affidamento dell’Italia a Maria, in tempi di coronavirus?
Il 1° maggio si rinnova l’affidamento dell’Italia al cuore immacolato di Maria che la Chiesa e il popolo italiano hanno compiuto per la prima volta nel 1954. “Rinnovamento” vuol dire che si rinnova la volontà di guardare in Maria quelle che sono le qualità, i valori, gli atteggiamenti necessari
per ripartire, per ricostruire il Paese in maniera più equa, più giusta, più attenta alla dignità di ogni singola persona.
L’atto di affidamento, infatti, è certamente un gesto di preghiera in virtù del quale ci affidiamo all’amore materno di Maria, per scoprire che non siamo lontani da Dio e che Dio non ci abbandona. In questo gesto, però, c’è una forte anima educativa: Maria ci ama e ci educa, ci offre una visione della vita capace di garantire a tutti la piena promozione e la difesa della dignità della persona e della vita.
L’iniziativa del 1° maggio arriva poco più di un mese dopo l’affidamento a Maria compiuto dal Papa in una piazza San Pietro vuota. C’è un legame tra questi due eventi?
Certamente sì, è come se l’evento del primo maggio fosse una prosecuzione dell’evento del 27 marzo. “Siamo tutti sulla stessa barca”, ci aveva detto in quell’occasione Papa Francesco. L’iniziativa del 1° maggio ci dice “chi è” che sale sulla barca, chi c’è dietro al “tutti”. Nel cuore materno e immacolato di Maria, “tutti” è davvero sinonimo di “tutti”: non solo qualcuno, ma veramente tutti. E’ una sfida enorme. Ognuno ha in genere la tendenza a pendere dalla propria parte, invece quel “tutti” invocato da Papa Francesco ha implicita in sé una richiesta:
“Guai a me se escludo qualcuno”. Anche nella ripartenza si possono escludere tante persone e tante situazioni, pensiamo soltanto al dibattito sugli anziani.
Essere davvero “tutti” sulla stessa barca significa combattere la “cultura dello scarto”, che il Santo Padre denuncia dall’inizio del pontificato.
Ci sono iniziative speciali in atto nei vari santuari europei, in questo tempo di pandemia?
Le iniziative ci sono, e sono legate ai tre versanti della preghiera, della sanità e dell’evangelizzazione. I santuari che hanno potuto, grazie ad una infrastruttura tecnica capace di supportare i nuovi media, si sono preoccupati di mantenere viva la preghiera. Alcuni, come il Santuario di Nostra Signora de La Salette, in Francia, si sono offerti come luogo per ospitare le persone in quarantena. Anche altri santuari hanno seguito le norme governative per l’emergenza sanitaria, e si sono regolati a seconda delle norme dei singoli Paesi. Il santuario di Fatima, per il grande pellegrinaggio di maggio, si è attrezzato con le infrastrutture tecnologiche in modo da permettere l’esperienza tradizionale del pellegrinaggio anche attraverso i nuovi mezzi digitali. Ci sono poi, in tutti i santuari, iniziative di evangelizzazione via web, come preghiere, incontri, catechesi.
Il 1° maggio si pregherà perché l’Italia sia un Paese unito. Un auspicio, questo, in sintonia anche con il messaggio delle apparizioni mariane che connotano la storia e la tradizione di molti santuari.
Spesso nelle apparizioni mariane c’è il messaggio di “costruire un popolo”, tema molto caro anche a Papa Francesco.
“Fare popolo” significa saper andare al di là delle polemiche per cercare il vero bene che unisce tutti. Significa: smettiamola di fermarci a ciò che divide e lacera e ritroviamo invece ciò che ci unisce.
Per chi ha fede, ciò che unisce è Gesù, per chi non crede sono i valori, il patrimonio culturale di un popolo, di una nazione. E l’identità profonda di un popolo è sempre – direbbe il Papa – legata alla “cultura dell’incontro”: è un popolo aperto, che spalanca porte, costruisce ponti, non esclude nessuno. Che ha il coraggio di crescere nella speranza difendendo e promuovendo la dignità di ciascuno, ovunque.
L’Italia si appresta a vivere la “fase due” dell’emergenza coronavirus, in altri Paesi è già partita. La conversione dei cuori, raccomandata dalla Vergine in ognuno dei suoi messaggi, può aiutarci concretamente a cambiare rotta?
Sì, perché nessuno come Maria rilancia il messaggio che
non bisogna ritornare al passato ma saper costruire il futuro.
Siamo in un momento di grande difficoltà: eravamo contenti del mondo di prima, le cose ci stavano bene così, ma forse proprio grazie a questa pandemia ci siamo accorti che non possiamo continuare nello stesso modo per il futuro. Certo, nel nostro passato c’erano tante cose buone, ma forse non era tutto oro ciò che luccicava. Bisogna costruire un futuro diverso, dove la ricchezza è la nostra comune dignità e il servizio reciproco che possiamo rendere, sia come credenti che come cittadini.
L’affidamento dell’Italia a Maria è anche un atto pubblico, che non riguarda soltanto i credenti, ma i modi diversi di essere cittadini.
E la cittadinanza, per un cristiano, ha a che fare con il saper servire e con l’impegno per la vita e la dignità di tutti.