“Quest’anno, avvertiamo più che mai il sabato santo, il giorno del grande silenzio”. Comincia così l’omelia pronunciata dal Papa della Veglia pasquale, in una basilica di San Pietro “senza concorso di popolo” – come tutti i riti pasquali – a causa delle misure restrittive imposte dal coronavirus. “Non cediamo alla rassegnazione, non mettiamo una pietra sopra la speranza”, l’annuncio pasquale, sintetizzato in una parola: “Coraggio”. L’esempio da seguire è quello delle donne che corrono al sepolcro, e che senza saperlo preparano nel buio di un sabato l’alba di una nuova storia. Alla fine, un forte appello:
“Mettiamo a tacere le grida di morte, basta guerre! Si fermino la produzione e il commercio delle armi, perché di pane e non di fucili abbiamo bisogno. Cessino gli aborti, che uccidono la vita innocente. Si aprano i cuori di chi ha, per riempire le mani vuote di chi è privo del necessario”.
L’omelia comincia con l’invito a rispecchiarci “nei sentimenti delle donne” che corrono al sepolcro: “Come noi – racconta il Papa – avevano negli occhi il dramma della sofferenza, di una tragedia inattesa accaduta troppo in fretta. Avevano visto la morte e avevano la morte nel cuore. Al dolore si accompagnava la paura. E poi i timori per il futuro, tutto da ricostruire. La memoria ferita, la speranza soffocata. Per loro era l’ora più buia, come per noi”. “Ma in questa situazione le donne non si lasciano paralizzare”, osserva Francesco: “Non cedono alle forze oscure del lamento e del rimpianto, non si rinchiudono nel pessimismo, non fuggono dalla realtà. “Queste donne, senza saperlo, preparavano nel buio di quel sabato ‘l’alba del primo giorno della settimana’, il giorno che avrebbe cambiato la storia”, l’omaggio di Francesco.
“Quante persone, nei giorni tristi che viviamo, hanno fatto e fanno come quelle donne, seminando germogli di speranza!”, il riferimento all’oggi: “Con piccoli gesti di cura, di affetto, di preghiera”.
“Non abbiate paura, non temete: ecco l’annuncio di speranza. È per noi, oggi. Sono le parole che Dio ci ripete nella notte che stiamo attraversando”, incalza Francesco:
“Stanotte conquistiamo un diritto fondamentale, che non ci sarà tolto: il diritto alla speranza.
È una speranza nuova, viva, che viene da Dio. Non è mero ottimismo, non è una pacca sulle spalle o un incoraggiamento di circostanza. È un dono del Cielo, che non potevamo procurarci da soli”.
“Tutto andrà bene, diciamo con tenacia in queste settimane, aggrappandoci alla bellezza della nostra umanità e facendo salire dal cuore parole di incoraggiamento”, l’analisi del Papa: “Ma, con l’andare dei giorni e il crescere dei timori, anche la speranza più audace può evaporare”. La speranza di Gesù, invece, “è diversa”: “Immette nel cuore la certezza che Dio sa volgere tutto al bene, perché persino dalla tomba fa uscire la vita. La tomba è il luogo dove chi entra non esce. Ma Gesù è uscito per noi, è risorto per noi, per portare vita dove c’era morte, per avviare una storia nuova dove era stata messa una pietra sopra”.
“Lui, che ha ribaltato il masso all’ingresso della tomba, può rimuovere i macigni che sigillano il cuore”, assicura Francesco:
“Perciò non cediamo alla rassegnazione, non mettiamo una pietra sopra la speranza.
Possiamo e dobbiamo sperare, perché Dio è fedele. Non ci ha lasciati soli, ci ha visitati: è venuto in ogni nostra situazione, nel dolore, nell’angoscia, nella morte. La sua luce ha illuminato l’oscurità del sepolcro: oggi vuole raggiungere gli angoli più bui della vita”.
“Sorella, fratello, anche se nel cuore hai seppellito la speranza, non arrenderti: Dio è più grande”. A metà dell’omelia il Papa dà del “tu” ad ognuno di noi. “Il buio e la morte non hanno l’ultima parola”, l’annuncio: “Coraggio, con Dio niente è perduto!”. “Ma tu potresti dire, come don Abbondio: ‘Il coraggio, uno non se lo può dare’”, l’obiezione mutata dai Promessi Sposi: “Non te lo puoi dare, ma lo puoi ricevere, come un dono”, la risposta. “Basta aprire il cuore nella preghiera, basta sollevare un poco quella pietra posta all’imboccatura del cuore per lasciare entrare la luce di Gesù”, spiega il Papa: “Basta invitarlo: ‘Vieni, Gesù, nelle mie paure e dì anche a me: Coraggio!’. Con Te, Signore, saremo provati, ma non turbati. E, qualunque tristezza abiti in noi, sentiremo di dover sperare, perché con Te la croce sfocia in risurrezione, perché Tu sei con noi nel buio delle nostre notti: sei certezza nelle nostre incertezze, Parola nei nostri silenzi, e niente potrà mai rubarci l’amore che nutri per noi. Ecco l’annuncio pasquale, annuncio di speranza”.
“Il Signore ci precede in Galilea”, “ognuno ha la propria Galilea”, ed è la Galilea “il punto da cui ripartire sempre, soprattutto nelle crisi, nei tempi di prova”. Ne è convinto il Papa, che nella parte finale dell’omelia esclama:
“È bello sapere che cammina davanti a noi, che ha visitato la nostra vita e la nostra morte per precederci in Galilea, nel luogo, cioè, che per Lui e per i suoi discepoli richiamava la vita quotidiana, la famiglia, il lavoro”.
“Gesù desidera che portiamo la speranza lì, nella vita di ogni giorno”, la consegna. “Ma la Galilea era anche “la Galilea delle genti”: questo vuol dire, attualizza Francesco, che “l’annuncio di speranza non va confinato nei nostri recinti sacri, ma va portato a tutti. Perché tutti hanno bisogno di essere rincuorati.
Che bello essere cristiani che consolano, che portano i pesi degli altri, che incoraggiano: annunciatori di vita in tempo di morte!”. “In ogni Galilea, in ogni regione di quell’umanità a cui apparteniamo e che ci appartiene, perché tutti siamo fratelli e sorelle, portiamo il canto della vita!”, il mandato finale.