Quaresima e Coronavirus: “Signore, ecco colui che tu ami è malato”

Don Angelo, ancora una volta voglio fidarmi di te, come quando ero seminarista e tu mi guidavi come un padre; provo ad assumere il tuo sguardo su tutta la vicenda di questi mesi, e sulla tua in particolare e, mentre ci provo, sento che non ho più paura

Foto Calvarese/SIR

“Signore, ecco colui che tu ami è malato.” Il Vicario del Papa per la Diocesi di Roma, chiamato con grande affetto e semplicità da clero e laici “don Angelo”, ha iniziato con queste parole domenica 29 marzo la sua omelia sul Vangelo della resurrezione di Lazzaro, che da allora sta accompagnando anche la nostra meditazione quotidiana.

E oggi noi tutti, fedeli e sacerdoti della Diocesi di Roma, dobbiamo ripetere dolenti, speranzosi e costernati proprio per lui, per il nostro amato Cardinale, queste stesse parole: “Signore, ecco colui che tu ami è malato”. Il virus cieco e alieno che sta flagellando il mondo ha colpito anche lui.

C’era da aspettarselo… ah, don Angelo, dove ti ha portato la radicalità della tua sequela, la tua incuria per te stesso?

Proprio un paio di settimane fa gli avevo scritto un messaggio, pregandolo di avere cura di sé, aggiungendo però che secondo me non si stava affatto tutelando.
D’altronde, che ci si poteva aspettare da un uomo così libero da se stesso?
Tutti quelli che, come il sottoscritto, hanno avuto la fortuna di conoscerlo da prima che fosse “promosso”, hanno tirato un sospiro di sollievo quando, divenuto cardinale, hanno visto che don Angelo è rimasto il don Angelo di sempre (ma lo sapevamo già): un uomo libero, sorridente, paterno, scherzoso, perennemente disponibile – una persona concreta e solida, capace di stare al cento per cento nelle situazioni in cui Dio lo ha messo, tanto al vertice del Vicariato quanto in una cucina in cui prepara con le sue mani la cena (dall’antipasto al dolce) per i suoi figli spirituali innumerevoli volte accolti alla sua mensa – e lì non di rado ripescati dal male.

Ascolta, Signore, la nostra preghiera, perché la rivolgiamo a Te per colui che tu ami, per un uomo che, essendo divenuto maestro per molti, è comunque sempre rimasto tuo discepolo.

Siamo certi, Signore, che Tu non resterai imperturbato dinanzi alla nostra preghiera.
Sappiamo che questa nostra preghiera confluisce nel fiume ininterrotto di analoghe preghiere che stanno in queste settimane salendo a Te da parte di tutti coloro che hanno una persona cara colpita dalla malattia. Non vogliamo corsie preferenziali, come non le vuole senz’altro don Angelo… sappi però, Signore, che anche per noi fedeli della Chiesa di Roma si tratta dello stesso tipo di dolore degli altri: abbiamo una persona cara, abbiamo nostro padre, colpito dalla malattia e ricoverato in ospedale, e noi, come tutti quelli a cui sta capitando una cosa del genere, non possiamo non pregarti solleciti e speranzosi, non possiamo fare finta di non tenerci al tuo intervento salvifico in favore di nostro padre don Angelo.

Crediamo anche, Signore, che Tu opererai sempre e comunque ciò che sarà a maggior gloria del Padre e per il nostro maggior bene.

Non vogliamo svendere la fede di cui ci hai fatto dono solo perché ora siamo afflitti, né vogliamo ridurre la nostra speranza a una trattativa magica mossa dalla paura che prova l’animale-uomo, l’uomo naturale privo di attese escatologiche.

È solo che, Signore, in noi abbandono in Te, e speranza (forse un po’ infantile) che tutto andrà come vorremmo per il nostro amato don Angelo, si intrecciano, e mentre siamo certi che tutto andrà secondo la tua volontà amorosa, la povera carne del nostro cuore trepida, auspicando, forse troppo banalmente, in una guarigione.

…mentre la mia mente e il mio cuore si contorcono per arrivare a una conclusione adeguata, mi arrivano, serene e rinfrescanti, le parole con cui don Angelo ha concluso quell’omelia di domenica scorsa: “Noi siamo nella vita, ne siamo certi, e da qui sgorga la fede. Uniamoci a tutti coloro che credettero in Lui. Vogliamo vivere con Lui, immergerci nel suo Spirito, perché chi vive in Lui e crede in Lui non morirà in eterno”.

Va bene, don Angelo, ancora una volta voglio fidarmi di te, come quando ero seminarista e tu mi guidavi come un padre; provo ad assumere il tuo sguardo su tutta la vicenda di questi mesi, e sulla tua in particolare e, mentre ci provo, sento che non ho più paura.

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