Abbiamo un controverso e cattivo rapporto con la storia, oggi. Peschiamo, qua e là, quanto possa essere utile per i dibattiti del presente, per le polemiche, per le discussioni.
Stiamo abbandonando la storia come scienza, come branca del sapere, nelle scuole e nelle università. Non solo in Italia. Per di più spesso confondiamo storia e memoria, accrescendo confusione e strumentalizzazioni.
Ma abbiamo bisogno di storia: ogni società, per proiettarsi avanti, deve sapere del suo passato, per essere consapevole del suo presente. Ma fare storia richiede metodo, richiede fatica, richiede un certosino lavoro sulle fonti.
Per questo
l’apertura alla consultazione degli studiosi di tutto il mondo dello sterminato archivio del pontificato di Pio XII, a partire dal 2 marzo è una data importante. Per fare storia come si deve e per ritrovare le ragioni della storia.
Difficile sopravvalutare l’importanza del suo lungo pontificato, iniziato nel 1939 e conclusosi nel 1958, che si colloca giusto nel mezzo del ventesimo secolo: il secolo delle guerre mondiali (due, o, più esattamente tre, compresa quella cosiddetta fredda), dell’accelerazione dei processi, della mondializzazione, della Shoah e dei totalitarismi, di una persecuzione della Chiesa e dei cattolici senza precedenti nella storia dell’umanità.
Studiare il pontificato di Pio XII significa misurarsi con le grandi questioni della storia contemporanea.
Una Chiesa che è presente ed opera oramai in tutti i continenti.
Non può allora stupire che su questa personalità carismatica, il “pastror angelicus” presentato in un film memorabile, si siano catalizzate le attenzioni, le discussioni, le polemiche, le accuse, le esaltazioni e le menzogne interessate dalle propagande, di cui è massima espressione una mediocre opera teatrale, funzionale a tesi ideologiche e politiche, il Vicario, rappresentata in Germania per la prima volta nel 1963. Gli archivi si aprono e riaffermano l’apertura prima di tutto culturale e strutturale della Chiesa cattolica alla storia, che rifiuta qualsiasi concezione ciclica e ripetitiva, per l’idea invece di un tempo dinamico, proiettato verso l’eternità, ma proprio per questo ben piantato nella realtà.
Le carte d’archivio non sono le prove di un supposto tribunale. La storia ricostruisce processi, fornisce dati e così stimola al dialogo, al confronto, alla ricerca.
Spiccano alcuni grandi temi: quelli che riguardano la vita e il governo della Chiesa, come anche il rapporto con le grandi questioni politiche e geo-politiche. Si potrà, nel primo versante, misurare il percorso verso il Concilio Vaticano II, nel compresso rapporto con la modernità, e poi le controverse questioni della guerra e del dopoguerra. Ha detto giustamente il cardinale Josè Tolentino de Mendonça, archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa che magari potranno uscire degli scoop, ma quello che conta è il lavoro propriamente storico: uno studio serio, metodico ed approfondito che certamente darà molti buoni frutti.