Il 2 marzo, il giorno in cui ricorrono esattamente i 144 anni dalla nascita e gli 81 dall’elezione di Pio XII, si aprono agli studiosi gli archivi vaticani che conservano le carte del suo lungo pontificato. Si tratta di un’apertura straordinaria, perché in anticipo rispetto ai tempi previsti – di solito 75 anni dal periodo in questione e Pacelli muore nel 1958 – e poiché
l’interesse per quelle carte è fortissimo.
Sono milioni di fogli, ordinati e catalogati, relativi alla molteplice attività pontificia, nell’arco dei quasi vent’anni del regno di Pio XII. A fronte di questa mole imponente di documenti, quelli per i quali l’interesse è rovente riguardano un arco temporale ristretto e un argomento specifico. Sono
le carte della seconda guerra mondiale e, in particolare, quelle dei tragici mesi dell’occupazione nazista di Roma (settembre 1943 – giugno 1944) e, nello specifico, i documenti che abbiano a che fare con la posizione di Pio XII di fronte all’immane tragedia della Shoah.
Un tema delicato, da quando al Papa viene imputato un sostanziale disinteresse per la sorte degli ebrei, anche di quelli rastrellati a Roma, il 16 ottobre del 1943, e deportati ad Auschwitz, qualche giorno dopo. Per gli archivi di Pio XII, dunque, gli studiosi – perché solo essi vengono ammessi alla consultazione di questo tipo di materiale – si concentreranno su quella documentazione. Un’opera senz’altro utile che potrà contribuire a ricostruire, in modo storiograficamente attendibile, un periodo tanto travagliato. Per farlo ci vorrà tempo, da dedicare alla lettura e allo studio delle carte. Almeno dieci anni di lavoro – dice monsignor Sergio Pagano, prefetto dell’Archivio Apostolico Vaticano – per scrivere un buon saggio storico. Il rischio è che, invece, i libri comincino a uscire molto presto: “Ci sarà qualcuno mosso dalla voglia di scoop che – afferma Pagano – tirerà fuori l’acqua calda”. Ma è un rischio che va corso. Aspettando queste carte, intanto, però, alcune cose possono essere già dette.
Innanzitutto, appare, ormai, un’ipotesi piuttosto convincente quella che riguarda la genesi delle accuse contro Pacelli, messo sul banco degli imputati per i suoi “silenzi”, di fronte alla Shoah. Dopo la guerra, per un ventennio circa, Pio XII viene lodato per la sua opera umanitaria, anche da parte di molti esponenti del mondo ebraico. Nel 1958, Golda Meir, figura di spicco della politica israeliana e, allora, ministro degli esteri piange la morte di Pacelli, affermando: “Quando il martirio più spaventoso ha colpito il nostro popolo durante i dieci anni del terrore nazista, la voce del Pontefice si è levata in favore delle vittime. Noi piangiamo la perdita di un grande servitore della pace”. Le accuse contro Pio XII esplodono il 20 febbraio 1963, quando, a Berlino, viene rappresentata la pièce teatrale Der Stellvertreter (Il Vicario), scritta da Rolf Hochhuth. L’incubazione dell’accusa è lunga. Arriva dal mondo intellettuale cattolico francese del dopoguerra e trova – però – terreno di coltura e nutrimento nel clima della “guerra fredda”. Molti studiosi sono convinti che Pio XII sia vittima della propaganda sovietica, che vede in lui un amico dell’Occidente. Pacelli rinuncia a pronunciamenti pubblici contro i nazisti per non scatenare una reazione ancora più bestiale. Questa sua linea, negli anni del confronto Est-Ovest, gli viene imputata strumentalmente.
In secondo luogo,
bisogna ricordare che moltissimi dei documenti riguardanti il pontificato nel periodo della Seconda guerra mondiale sono già pubblici.
Sono Les Actes et documents du Saint-Siège relatifs à la Seconde Guerre mondiale, undici volumi di carte vaticane, pubblicati tra il 1965 e il 1981, per volere di Paolo VI, e curati dai gesuiti Pierre Blet, Angelo Martini, Burkhart Schneider e Robert Graham. Una miniera di informazioni. Poco lette. E poco citate. Si dice, ad esempio, che Pio XII si sia completamente disinteressato della razzia del Ghetto di Roma, il 16 ottobre 1943. Nel nono volume di Les Actes et documents, viene pubblicato un lungo appunto manoscritto del Segretario di Stato, cardinale Maglione, datato lo stesso giorno del rastrellamento. Si tratta del resoconto della sua protesta fatta personalmente all’ambasciatore tedesco Ernst von Weizsäcker. Scrive Maglione: “Avendo saputo che i tedeschi hanno fatto stamane una retata di ebrei, ho pregato l’Ambasciatore di Germania di venire da me e gli ho chiesto di voler intervenire a favore di quei poveretti. Gli ho parlato come meglio ho potuto in nome dell’umanità, della comunità cristiana (…) Eccellenza, che ha un cuore tenero e buono, veda di salvare tanti innocenti. È doloroso per il Santo Padre, doloroso oltre ogni dire che proprio a Roma sotto gli occhi del Padre Comune siano fatte soffrire tante persone unicamente perché appartengono ad una stirpe determinata…”. Negli Actes ci sono moltissime altre carte che testimoniano l’attività della Santa Sede in favore dei perseguitati.
Un terzo punto riguarda l’ospitalità concessa a tanti ricercati dai nazisti: ebrei, oppositori politici, renitenti alla leva. Renzo De Felice calcola che, a Roma, quasi quattromilacinquecento ebrei trovino scampo in strutture ecclesiali. Si tratta di conventi, ospedali cattolici, parrocchie. Ma anche strutture della Santa Sede: il Vaticano, San Giovanni in Laterano, la Basilica di San Paolo, Castelgandolfo. Esistono, poi, documenti che raccontano come la disposizione di aprire le porte ai perseguitati giunga direttamente dal Papa. Sono, ad esempio, i diari delle religiose dei monasteri romani dei Santi Quattro coronati, di Santa Susanna, di Santa Maria dei Sette Dolori, dell’Istituto di Maria Bambina.
Testimonianze e documenti da studiare e su cui ragionare sono, dunque, già da tempo a disposizione di studiosi che abbiano voluto accostarsi alla materia sine ira et studio. A tutto questo, si aggiungerà la mole di carte disponibile dal 2 marzo. Ma è evidente che non si parte da zero.