Un documento che, fin dal titolo, “Querida Amazonia”, sottolinea l’amore del Papa per l’Amazzonia, i suoi popoli, la sua cultura. Che non sostituisce né ripete il documento finale del Sinodo, ma rilancia un ulteriore cammino da fare insieme. A orientarlo, quelli che Papa Francesco definisce dei “sogni”. “E sappiamo – chiosa il cardinale Pedro Barreto Jimeno – che se uno sogna da solo, il suo rimane solo un sogno, se invece il sogno è di molti, esso comincia a diventare realtà”. Proprio il cardinale peruviano commenta l’esortazione apostolica post-sinodale “Querida Amazonia”. Il cardinale Barreto, gesuita, arcivescovo di Huancayo (Perù) e vicepresidente della Rete ecclesiale panamazzonica (Repam), è stato indubbiamente uno dei protagonisti sia della fase preparatoria, sia del Sinodo in Vaticano (era tra i presidenti delegati dell’assemblea e fa parte del Consiglio speciale per la regione panamazzonica).
Eminenza, cominciamo dal titolo. “Querida Amazonia” sembra esprimere un affetto speciale. È davvero così?
Sì, non servono altre parole. Esso esprime la vicinanza della Chiesa per l’Amazzonia, il sentire e il fare della Chiesa per le popolazioni che abitano questo territorio, per le loro culture, per la custodia di questo polmone del mondo. Ed emerge con chiarezza che non si tratta di una preferenza solo del Papa, ma del risultato di un lungo cammino di evangelizzazione, di una lunga storia connotata da affetto per i popoli originari.
Quali le sembrano gli aspetti principali dell’Esortazione?
Essa sottolinea l’importanza dell’Amazzonia, non solo come spazio geografico, ma soprattutto prestando attenzione alle persone e in particolare ai popoli originari. Il loro è un clamore che grida al mondo, sono popolazioni storicamente maltrattate e non rispettate. Il documento del Papa ci ricorda l’esigenza di uno sviluppo umano integrale, del rispetto dei diritti umani inalienabili. C’è, poi, un secondo aspetto: la valorizzazione della ricchezza culturale di questi popoli della loro visione del cosmo e della natura, della loro spiritualità. Siamo abituati al primato della cultura occidentale, ma in realtà ogni espressione culturale può dare un grande apporto. C’è, ancora, un terzo aspetto, che trovo fondamentale: il cammino sinodale, che si era aperto nel gennaio 2018 nell’Amazzonia peruviana, in occasione della visita del Papa a Puerto Maldonado, continua.
Il Sinodo e l’Esortazione non costituiscono il punto finale del cammino.
Questo cosa comporta?
Che rimane centrale questa necessità di ascoltare e camminare insieme, con le Chiese e i popoli dell’Amazzonia. Il Papa non intende sostituire né ripetere i risultati del Sinodo, frutto di un lungo processo di ascolto, noi che vi abbiamo partecipato possiamo testimoniare questo ascoltare e camminare insieme. L’Esortazione non offre direttive rigide, c’è appunto questa idea di un cammino che continua, certo a partire dal Sinodo e dall’enciclica Laudato Si’. Io, personalmente, sono entusiasmato da questa spinta chiara a camminare insieme e, soprattutto, con i più poveri.
Il cammino richiama alla conversione. Essa resta una categoria centrale nella riflessione del Papa?
Da un lato sì, c’è una forte connessione tra il cammino insieme e la conversione, che ci chiama ad avere una nuova attenzione per gli indigeni, o per le donne. Quello della conversione a Dio, ai fratelli e alla Casa comune resta uno snodo decisivo, messo in luce soprattutto dal Documento finale del Sinodo, che parla di quattro tipi di conversione: sociale, culturale, ecologica, ecclesiale. Il Papa ha detto di fare proprie queste conclusioni. In “Querida Amazonia”, però, Francesco fa uno scatto in avanti, parla non tanto di conversione ma di sogni, usa questa immagine. Possiamo dire che l’Esortazione assume il richiamo alla conversione, ma offre un’intonazione nuova, parlando di sogni che, anche in questo caso, riguardano la sfera sociale, culturale, ecologica ed ecclesiale. Il Papa si esprime con grande chiarezza, sogna un Vangelo vissuto assumendo le indicazioni della Laudato Si’.
C’era grande attesa anche per la parte sui ministeri e in particolare sulla possibilità di ordinare sacerdoti uomini sposati. Il Papa non ne parla molto nell’Esortazione…
È vero che Francesco non tocca in modo evidente la dimensione ministeriale e in particolare la questione dei cosiddetti viri probati, cioè dell’ordinazione di uomini sposati. Il Papa, però, afferma di non sostituire né ripetere nella sua interezza il Documento finale del Sinodo, in cui si parla di questa possibilità. Egli accetta quanto c’è scritto e non lo ripete, non lo ribadisce. Io credo che al centro di questa questione ci sia la situazione di popolazioni che vivono in territori remoti e non hanno la possibilità di accostarsi all’eucaristia con frequenza. È stato lo stesso san Giovanni Paolo II a dire che senza eucaristia non c’è Chiesa. La questione è incentrata su questo aspetto, non dev’essere vista come una contesa, come la vittoria o la sconfitta di qualcuno. Si tratta di rispondere alle necessità di popolazioni che sono private dell’eucaristia.
Resta il fatto che il Papa sta incontrando molte resistenze da parte di chi detiene il potere economico e politico. Resistenze non mancano neanche all’interno della Chiesa. Che idea si è fatto di queste resistenze?
È una domanda molto opportuna. È proprio così, il Papa incontra resistenze da chi ha il potere economico, politico e perfino ecclesiale. È quello che è capitato a Gesù, che le ha sperimentate tutte e tre. È normale che esse ci siano, quando si porta avanti un cammino di rinnovamento, che è in definitiva un cammino di evangelizzazione. Io penso che lo Spirito Santo stia guidando la Chiesa e che essa stia percorrendo le strade che sognava Giovanni XXIII quando aprì il Concilio Vaticano II, e che sognava Papa Francesco, quando a inizio pontificato ha detto: “Come vorrei una Chiesa povera e per i poveri”.
In definitiva, quale speranza trae dalla pubblicazione di “Querida Amazonia”?
Un grande impulso che porta speranza. La Chiesa si presenta in modo definitivo come alleata dei popoli amazzonici e l’Esortazione dà una grande responsabilità a noi pastori, chiamati a incoraggiare l’ascolto, il dialogo onesto, a imprimere questo nella nostra pelle e nella nostra cultura, non dimenticando che il fine è l’evangelizzazione, è non nascondere o svilire l’annuncio di Gesù Cristo.