Vino vecchio in otri nuovi

Alcuni anni fa il professor Achille Ardigò, sociologo famoso a livello internazionale e convinto cattolico, mi confidò in un viaggio da Bologna a Forlì, che nel mondo complesso e globalizzato, ormai secolarizzato, non poteva essere la Chiesa rituale capace di evangelizzare. Puntare sui riti liturgici, ripetere le stesse cose e le stesse attività di sempre, seppur adattate ai diversi ritmi e sistemi di vita, non sarebbe stata la soluzione. Queste sue affermazioni si connettono a quelle del cardinal Martini, ricordate dal Papa recentemente, che la Chiesa è in ritardo di duecento anni.

Alcuni anni fa il professor Achille Ardigò, sociologo famoso a livello internazionale e convinto cattolico, mi confidò in un viaggio da Bologna a Forlì, che nel mondo complesso e globalizzato, ormai secolarizzato, non poteva essere la Chiesa rituale capace di evangelizzare. Puntare sui riti liturgici, ripetere le stesse cose e le stesse attività di sempre, seppur adattate ai diversi ritmi e sistemi di vita, non sarebbe stata la soluzione. Queste sue affermazioni si connettono a quelle del cardinal Martini, ricordate dal Papa recentemente, che la Chiesa è in ritardo di duecento anni. Il Papa ha aggiunto che siamo alla fine della cristianità e in un passaggio d’epoca. Allora, cosa significa evangelizzare oggi? Quali sono le opportunità che questo tempo offre? Certamente non serve il rimpianto dei bei tempi antichi. Ardigò proponeva una Chiesa contemplativa, capace di vedere dall’alto la storia umana e le sue esigenze e, così, fare discernimento. Nella secolarizzazione ci siamo abituati a logiche di interessi immediati. Le finalità, il senso ultimo delle cose e degli avvenimenti è dimenticato. Il presentismo e il nichilismo dei giovani, oggetto di studio di Umberto Galimberti in ben due saggi del 2007 e del 2018, nascono quando manca la risposta ai “perché”. Nell’età della tecnica e dell’economia globalizzata, “l’uomo non è più il soggetto del suo operare, ma il semplice esecutore di azioni descritte e prescritte dall’apparato tecnico, regolato dai soli criteri dell’efficienza e della produttività”. Spodestati dalla propria “soggettività creativa” si è spersonalizzati. Alcuni, però, reagiscono cercando “di trasformare la crisi in una nuova opportunità di ridisegnare i rapporti umani, rimettendo in discussione le mappe – fisiche, mentali e sociali – trasmesse dalle precedenti generazioni”. La ricerca dei “perché” e di nuove relazioni dovrebbe vederci disponibili, senza presunzioni di avere o dare già le risposte. La contemplazione di un mistero, che mai sarà in nostro possesso, ci aprirà al discernimento e al dialogo con le persone del nostro tempo. Siamo tutti pellegrini in ricerca del senso, della verità che apre all’evangelizzazione. Noi normalmente ci rivolgiamo ai “fedeli”, ma loro non sono che una piccola parte di coloro a cui siamo inviati; anzi, dovrebbero essere con noi evangelizzatori. La nostra Diocesi sta affrontando giustamente il problema di strutture più efficaci nel territorio. Non può, però, essere solo una questione di ingegneria pastorale. Altrimenti non metteremmo vino vecchio in otri nuovi?

 

(*) direttore “Il Momento” (Forlì)

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