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Sinodo per l’Amazzonia: serve un “rito indigeno”, proposto “organismo ecclesiale permanente”

“Rito indigeno”, migrazioni ed ecumenismo. Se ne è parlato al Sinodo per l’Amazzonia, in corso in Vaticano fino al 27 ottobre. Proposto un “organismo ecclesiale permanente”

(Foto Vatican Media/SIR)

“Creare Commissioni che lavorino sul metodo per dare un volto amazzonico anche alla liturgia”. È una delle proposte emerse al Sinodo per l’Amazzonia, dove il tema dell’inculturazione è stato uno degli argomenti più dibattuti. A riferirne sono stati mons. Rafael Alfonso Escudero López-Brea, vescovo Prelato di Moyobamba, in Perù, e mons. Eugenio Coter, vicario apostolico di Pando e vescovo titolare di Tibiuca (Bolivia), durante il brieifing odierno in sala stampa vaticana. “Al Sinodo si sta chiedendo un rito diverso da quello che ha già la Chiesa”, ha spiegato mons. Lopez-Brea a proposito della necessità di “introdurre nella celebrazione eucaristica simboli e riti che non abbiano un impatto su ciò che è essenziale nel rito, però arricchiscano la celebrazione affinché si possa celebrare l’Eucaristia con le peculiarità delle popolazioni indigene”. “Non sarebbe qualcosa di nuovo nella storia della Chiesa”, ha fatto notare il vescovo: “Oltre al rito romano, esistono altri riti – ha precisato – come il rito per le Chiese cattoliche orientali, e anche in alcune zone dell’Africa si sono introdotti elementi tipici all’interno della celebrazione eucaristica”. “C’è da fare un adattamento del rito liturgico”, ha affermato il vescovo: “Ci sono elementi strutturali della liturgia che non cambiano da duemila anni, in quanto elementi essenziali, ed altri che possono essere approfonditi perché parlino alla gente che vi partecipa”.

In Amazzonia c’è una “crisi umanitaria” in atto, e bisogna “accompagnare le migrazioni”.

Lo ha spiegato padre Sidney Dornelas, missionario scalabriniano e direttore del Cemla (Centro di studi migratori latinoamericani), che ha precisato: “Esiste la volontà della Chiesa di accompagnare i migranti, ma esiste anche una mancanza di formazione. La Chiesa amazzonica si è trovata ad affrontare un flusso di migliaia e migliaia di migranti, provenienti prima da Haiti e poi dal Venezuela”. “Lo Stato non era pronto a fronteggiare tale situazione, e la Chiesa se ne è fatta carico”, ha reso noto padre Dornelas, facendo notare come attualmente ci siano circa 150mila migranti che “stanno attraversando la frontiera”. “Non possiamo capire la regione amazzonica senza le migrazioni”, ha confermato Marcia María de Oliveira, esperta in Storia della Chiesa in Amazzonia: “In Amazzonia, come in tutta l’America Latina, la migrazione è interna ed intercontinentale, anche perché oggi l’Unione europea, gli Stati Uniti e il Giappone hanno introdotto misure restrittive in materia. Alcune etnie, inoltre, si spostano all’interno del loro territorio ed altre popolazioni indigene si spostano nelle città”.

“Un organismo ecclesiale permanente che si faccia carico di tutto il percorso post-sinodale, valorizzando il contributo della Repam”.

È una delle proposte emerse al Sinodo, ha riferito padre Giacomo Costa, segretario della Commissione per l’informazione. “Creare una struttura ecclesiale, un organismo che accompagni il popolo di Dio nella regione panamazzonica”, hanno proposto i padri sinodali nella Congregazione generale di oggi, dando seguito al dibattito di ieri. “Nonostante le diversità dei popoli, la Chiesa in Amazzonia ha una sua unitarietà”, ha fatto notare Costa, che per riassumere il percorso sinodale fin qui percorso ha usato una parola – “sinodalità” – come simbolo della necessità di “una nuova relazionalità della Chiesa, a tutti i livelli”. “Creare nuove modalità per camminare insieme”, uno degli obiettivi finora più condivisi dai partecipanti al Sinodo: “Si tratta di una sinodalità missionaria, non di una questione di strutture”, ha precisato Costa. Altro tema emerso in molti interventi in aula, ha riferito Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede, quello dell’educazione, “in generale, non soltanto ecclesiale”, ha precisato a proposito della necessità di “una rete educativa per tutti i popoli indigeni, di cui la Chiesa è portatrice e parte attiva”.

“Il tema è sul tappeto”. Così mons. Coter ha risposto ad una domanda sui cosiddetti “viri probati”. “Esiste una ministerialità della comunità, che di fatto in Amazzonia già viviamo, a differenza di altre zone”, ha spiegato il presule, riferendo che nell’aula sinodale “si continua a parlare ogni giorno del tema della sacramentalità, che è parte della vita cristiana”. “C’è un sentire comune dell’assemblea sinodale nel proporre al Papa la questione dell’ordinazione sacerdotale degli uomini sposati”, ha affermato Coter: “Bisogna chiedersi come aiutare a riflettere per dare risposte concrete alle necessità di queste comunità”.

Mons. Alejandro Labaka, la religiosa terziaria cappuccina Inés Arango, suor Dorothy Stang hanno donato la loro vita in nome della causa dei popoli amazzonici indifesi e per la salvaguardia del territorio. A pronunciare i loro nomi sono stati alcuni dei 180 padri sinodali intervenuti all’XI Congregazione generale, alla presenza del Papa. L’opera missionaria in Amazzonia va sostenuta di più – riferisce Vatican news sintetizzando il dibattito in aula – e per questo si riflette sulla creazione di “un fondo finanziario, sia nazionale che internazionale, per rafforzare la missione nella regione, specialmente per le spese di trasporto e di formazione dei missionari stessi”. Altro tema toccato dai padri, l’ecumenismo, che non è “proselitismo o colonialismo intra-cristiano”, ma un’evangelizzazione attraente.