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Sinodo per l’Amazzonia: ecco chi sono i rappresentanti dei popoli indigeni che prendono parte ai lavori

Arrivati a Roma alla spicciolata, portano la voce di 390 etnie, oltre la metà delle quali è stata direttamente coinvolta nel lungo e capillare processo di ascolto pre-sinodale. Si sbaglia chi pensa a una presenza solo “folcloristica”, a vestiti etnici, copricapo piumati e danze ancestrali. Certo, non mancheranno tutti i colori e la vivacità di queste culture. Ma assieme a questi elementi, troviamo idee chiare, preparazione, determinazione

Sono una presenza storica e inedita. Al Sinodo per l’Amazzonia saranno uditori, ma la loro voce è preziosa, importante e attesa. Sono i 17 rappresentanti dei popoli indigeni che prendono parte ai lavori sinodali. Arrivati a Roma alla spicciolata, portano la voce di 390 etnie, oltre la metà delle quali è stata direttamente coinvolta nel lungo e capillare processo di ascolto pre-sinodale. Si sbaglia chi pensa a una presenza solo “folcloristica”, a vestiti etnici, copricapo piumati e danze ancestrali. Certo, non mancheranno tutti i colori e la vivacità di queste culture. Ma assieme a questi elementi, troviamo idee chiare, preparazione, determinazione. I rappresentanti indigeni provengono praticamente da tutti i Paese della regione panamazzonica, ci sono i religiosi e i laici, numerose donne. Chi è leader sociale e chi insegnante, chi lotta contro lo sfruttamento minerario e chi, da catechista, “regge” in pratica delle comunità. Il Sir ha dato voce a quattro di questi rappresentanti.

Yésica Patiachi Tayori è un’insegnante bilingue dell’etnia Harakbut. Vive nel vicariato apostolico di Puerto Maldonado, dove è iniziata l’avventura verso questo Sinodo, nel gennaio 2018, quando nella località dell’Amazzonia peruviana, nella regione di Madre de Dios, è arrivato Papa Francesco: “Lì – dice – è iniziato un processo storico, molto partecipato, che ha per esempi coinvolto le donne”. In questo processo si è inserita anche Yésica, fino a essere scelta da Papa Francesco per partecipare al Sinodo. “All’inizio – confessa – mi sono sentita smarrita in seguito all’invito del Papa. È stata davvero una sorpresa. Mi sento preoccupata, al tempo stesso so che si tratta di una grande opportunità per portare dentro la Chiesa e nel mondo le problematiche che stiamo vivendo”. Un’opportunità lunga 4 minuti, Yésica ne è consapevole: “Questi sono i minuti che avrò durante l’intervento nell’assemblea sinodale. Certo, sono pochi. Ma dirò che

l’Amazzonia sta sanguinando, per le attività estrattive, per gli incendi.

È una responsabilità grande rappresentare il Perù, spero di essere all’altezza dell’evento”, Prosegue la leader indigena: “È davvero importante che il Papa ci dia voce. Sono consapevole che con il Sinodo non si risolveranno tutti i problemi, ma è già molto che siano messi in agenda, che possiamo alzare la nostra voce. Finora i politici non ci ascoltano. Eppure i nostri boschi e le nostre risorse sono un patrimonio di tutta l’umanità”.

È peruviano anche Delio Siticonatzi Camaiteri, dell’etnia Ashanika. ha studiato all’Università Cattolica Sede Sapientiae di Nopoki, il centro di studi superiori promosso su impulso del Vaticano nel vicariato di San Ramón en Atalaya (Ucayali), dove studiano in sei lingue differenti i giovani indigeni di diciotto diverse etnie. Oggi è professore all’Università e responsabile di una comunità di giovani di tre diverse etnie, he ci fa conoscere mentre conversiamo con lui in videochiamata. “Ho avuto la grande opportunità di studiare e ora voglio ridonare quello che ho ricevuto, dare opportunità di speranza”. Il discorso si sposta ben presto sul Sinodo: “Ricevere l’invito è stata una sorpresa, mi sento emozionato ma anche tranquillo.

Nei prossimi giorni può succedere qualcosa di importante per l’Amazzonia, che ha bisogno di un’attenzione particolare in un tempo di crisi”.

A livello ecclesiale, “gli indigeni chiedono ascolto e accompagnamento. Vogliono camminare secondo la propria cultura ma assieme alla Chiesa. Purtroppo il 50% degli indigeni non ha un sacerdote come riferimento. Certo, viviamo immersi nella natura ma abbiamo bisogno di qualcosa di più. Ecco la sfida, per la Chiesa di avere un volto amazzonico. Questa è la speranza che abbiamo, che si affronti il tema dell’accompagnamento della Chiesa indigena”.

Un accompagnatore, a livello ecclesiale e pastorale, è senza dubbio Enrique Matareco Pofueco, boliviano, animatore del popolo indigeno Ignaciano Mojeño, a Bermeo, nel dipartimento del Beni, nei pressi di Sam Ignacio de Moxos. Anche in questa zona, recentemente ci sono stati numerosi incendi, come ci racconta. Ha 71 anni e il suo è il tipico profilo al quale guardano coloro che pensano all’ordinazione sacerdotale dei cosiddetti “viri probati”. L’interessato, intervistato dal Sir mentre è in partenza per Roma, grazie a un’intermediaria (Enrique non possiede un cellulare), non entra sul dibattito che ha infiammato la vigilia del Sinodo, pur ammettendo che si tratterebbe di “una cosa importante” e, se l’ipotesi si realizzasse, “sarebbe disponibile”. Nelle comunità dove opera, “mancano vocazioni sacerdotali. Da decenni celebro celebrazioni della parola, guido la preparazione ai battesimi e ai matrimoni”. Si dice “sorpreso” per la chiamata del Vaticano, dove per la verità era già stato in febbraio. “Il mio parroco, padre Fabio, è riuscito a contattarmi per darmi questa notizia”. Come deve presentarsi una Chiesa dal volto amazzonico? “Deve presentare alle persone  il volto di Gesù – risponde con poche parole – stando con la gente, dobbiamo metterci al lavoro e il Sinodo ci dà una grande speranza”.

Anitalia Claxi Pijachi Kuyuedo viene invece dalla Colombia e precisamente da Leticia (dipartimento dell’Amazonas), un lembo di territorio colombiano proteso tra Brasile e Perù. Lavora soprattutto per promuovere l’identità culturale e i diritti del popolo Huitoto Ocaina, al quale appartiene. Un’attività che la mette quotidianamente a confronto con i drammi della regione amazzonica e con altri, più specifici, della Colombia:

“Lo sfruttamento minerario, soprattutto le miniere illegali di oro e coltan. Ma anche il narcotraffico, la presenza di gruppi armati anche dopo l’accordo di pace, una giustizia fragile in una regione dove lo Stato è assente. I rischi che quotidianamente corrono i leader sociali e indigeni. Ecco alcuni dei problemi del nostro territorio e dei popoli indigeni”.

In questo contesto, mi occupo soprattutto di valorizzare la nostra cultura ancestrale dal punto di vista della donna indigena e dei bambini”. Al Sinodo “arrivo senza ce me lo aspettassi, ho iniziato a essere coinvolta negli incontri pre-sinodali e mi sento pienamente parte di questo cammino di Chiesa, che è anche un cammino di riconciliazione e un fatto storico”. Con una speranza: “Quella di toccare i cuori di questo mondo globalizzato”.