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Sinodo per l’Amazzonia: valorizzare i laici e “pensare alla possibilità di un’ordinazione diaconale per le donne”

Alla terza Congregazione generale del Sinodo per l’Amazzonia hanno partecipato 183 padri sinodali, alla presenza del Papa. Tra le proposte: la valorizzazione dei laici e l’ordinazione diaconale per le donne

Vaticano, 7 ottobre 2019. Papa Francesco guida la processione, la preghiera e l'inizio dei lavori del Sinodo sulla Amazzonia.

“Pensare alla possibilità di un’ordinazione diaconale per le donne, così da valorizzarne la vocazione ecclesiale”. È una delle proposte emerse nel corso della terza Congregazione generale del Sinodo per l’Amazzonia, a cui hanno partecipato 183 padri sinodali, alla presenza di Papa Francesco. “Di fronte all’urgenza di pastori per l’evangelizzazione dell’Amazzonia – riferisce Vatican news a proposito degli interventi in aula – serve una maggiore valorizzazione della vita consacrata, ma anche una forte promozione delle vocazioni autoctone, insieme alla possibilità di scegliere ministri autorizzati alla celebrazione dell’Eucaristia o di ordinare diaconi permanenti che, in forma di equipe, accompagnati da pastori, possano amministrare i Sacramenti”.

Il Sinodo ha riflettuto sull’importanza di una Chiesa di comunione “che includa maggiormente i laici, affinché il loro contributo supporti l’opera ecclesiale”.

“La complessità della vita contemporanea, infatti, richiede competenze e conoscenze specifiche alle quali non sempre i sacerdoti possono offrire tutte le risposte. Per questo, di fronte alle numerose sfide dell’attualità – tra cui secolarismo, indifferenza religiosa, proliferazione vertiginosa di chiese pentecostali – la Chiesa deve imparare a consultare ed ascoltare di più la voce del laicato”.

“La richiesta di muovi ministeri nasce dalle comunità, e in particolare dal rischio che ci siano cattolici di prima e di seconda classe: chi può partecipare all’Eucaristia e chi no”. Così Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede, è tornato sul tema dei “viri probati”, durante il briefing di oggi in sala stampa vaticana. Altro tema molto presente in questo inizio Sinodo, quello del degrado ambientale: “La distruzione della natura contraddice la fede cristiana, e chiede a tutti la responsabilità di un nuovo concetto di sviluppo e di progresso”, ha detto Ruffini, sottolineando come molti padri abbiano fatto presente la necessità che, in materia di degrado ambientale, “non si pensi solo all’Amazzonia, ma al modo in cui le industrie estrattive che operano in Amazzonia sono collegate ai singoli Paesi dove sono registrate”.

“La Chiesa stessa è un complesso ecosistema”, è stato detto dai padri, che hanno fatto presente il “rischio di una deforestazione della cultura cattolica”.

Molto presente in aula, infine, il tema dell’ascolto dei popoli indigeni, “anche per sanare le ferite del passato” e “superare ogni forma di colonialismo”.

“Non ho mai sentito dire che venti popolazioni amazzoniche praticano l’infanticidio. Chi fa affermazioni simili deve portare almeno prove documentate”. Così il card. Pedro Ricardo Barreto Jimeno, arcivescovo di Huancayo, in Perú, e vicepresidente della Repam, ha risposto alla domanda di un giornalista. “Se c’è qualcosa che ci insegna Gesù, è difendere la vita umana”, ha ricordato il cardinale: “ogni vita umana è sacra. Se qualcuno afferma che sono possibili queste pratiche, sta disconoscendo il messaggio del Vangelo”. “Non è tutto rose e fiori nelle popolazioni indigene”, ha precisato Barreto: “parlare di ‘purezza originaria’ significa disconoscere la natura umana. Ma la loro saggezza ancestrale dobbiamo riconoscerla: hanno arricchito questo bioma che noi stiamo usando”. “Non è che tutti i popoli originari siano perfetti, alcuni hanno pratiche non coerenti con le pratiche internazionale e i diritti umani”, ha detto Victoria Lucia Tauli-Corpuz, relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti delle popolazioni indigene, che ha fatto riferimento alla Dichiarazione Onu in materia, “in cui si afferma che gli Stati devono rispettare i diritti degli indigeni, ma anche che i popoli indigeni hanno l’obbligo di fare in modo che le loro tradizioni siano in linea con gli standard dei diritti internazionali ”.

“Abbiamo ancora tempo, ma il tempo è adesso”. Moema Maria Marques de Miranda, laica francescana, assessore della Repam e di “Chiese e minerazione”, ha scelto questa metafora per parlare dell’urgenza di affrontare con decisione la crisi ambientale, che minaccia di compromettere seriamente il futuro del pianeta.

“Nessuno ha vissuto la possibilità della fine della vita sul nostro pianeta come questa generazione”,

la tesi dell’antropologa, secondo la quale “comprendere l’emergenza della crisi ambientale avvicina saperi diversi che si devono incontrare e trovare punti di contatto”. “Gli incendi nella foresta amazzonica brasiliana hanno provocato fumo fino a San Paolo e hanno fatto sì che il cielo si rabbuiasse: ‘tutto è collegato’, come si legge nella Laudato si’, non è un’immagine poetica, è l’immagine di come funziona il pianeta Terra”. Due, per Marques, i “grandi progetti” che attualmente si scontrano, in materia ecologica: “Il progetto predatore, orientato all’avidità di guadagno, tipico delle industrie estrattive, e quello sostenibile, plurale, di popoli che hanno imparato a convivere per millenni con la foresta”. “Nessuno può costruire ponti in mezzo a un abisso”, la tesi della relatrice: “La Chiesa si vuole mettere dalla parte dei poveri, è l’opzione del Sinodo. Non è un caso che Greta e un Papa che viene dalla fine del mondo siano la voce di una forma di vita compatibile con l’ambiente”.