Verso la canonizzazione

Paolo VI in Terra Santa: padre Felet (Patriarcato), “felice e sorridente tra la folla che lo accompagnava”

Dal 4 al 6 gennaio 1964 Paolo VI  fu il primo Papa nella storia a recarsi pellegrino in Terra Santa. Un viaggio pieno di gesti di grande spessore storico e spirituale che non sono rimasti senza conseguenza, specialmente in campo ecumenico. Il Sir ha raccolto la testimonianza diretta di padre Pietro Felet, che all’epoca del pellegrinaggio era un giovane seminarista del seminario patriarcale di Beit Jala

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

“Ricordo il suo volto felice e sorridente mentre veniva trascinato dalla folla di gente e di pellegrini che erano andati ad accoglierlo alla Porta di Damasco a Gerusalemme”.

I ricordi del pellegrinaggio di Paolo VI in Terra Santa, dal 4 al 6 gennaio del 1964, mentre la Chiesa celebrava il Concilio Vaticano II, sono tutti affidati a questa istantanea “in bianco e nero”. Ad aprire al Sir l’album dei ricordi di quei giorni “storici – Paolo VI fu il primo successore di san Pietro a tornare sui luoghi di Gesù” – è padre Pietro Felet, betarramita, oggi Segretario Generale dell’assemblea dei vescovi cattolici di Terra Santa. All’epoca giovane seminarista presso il seminario patriarcale di Beit Jala, – “ero arrivato in Terra Santa il 22 dicembre del 1962” – padre Felet e i suoi compagni di studio avevano il compito di “coadiuvare il Delegato apostolico, mons. Lino Zanini, nell’allestimento della sede della Delegazione dove il Papa avrebbe dormito. Non ci furono particolari preparativi” e

“l’accoglienza a Papa Montini fu semplice e sobria”.

Una marea umana. La mattina del 4 gennaio Paolo VI si imbarcò a Roma – prima volta di un Papa su un aereo – su un volo Alitalia diretto ad Amman, in Giordania, dove fu accolto cordialmente dal re Hussein. Dalla capitale giordana “il Papa raggiunse in auto Gerusalemme. In quel tempo – precisa padre Felet – la Terra Santa era divisa tra il Regno Hashemita e Israele, dunque non ci fu bisogno di varcare nessuna frontiera. Papa Montini, infatti, arrivò alla Porta di Damasco, che si apre sul lato nord delle mura di Solimano il Magnifico, nella città vecchia sotto controllo giordano. Lungo il tragitto il Pontefice sostò in preghiera sulle sponde del fiume Giordano, nel punto che la tradizione ritiene essere il luogo del Battesimo, e poi a Betania, la città di Lazzaro”.

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

Alla Porta di Damasco “c’erano ad attenderlo migliaia di persone entusiaste – racconta padre Felet – una vera e propria marea umana che fece ondeggiare l’auto papale, travolgendo le barriere di sicurezza e gli stessi soldati giordani della Legione araba posti a vigilare sull’incolumità del Papa. Noi seminaristi eravamo tutti in fila sotto il vento gelido del deserto. Non fu possibile nemmeno pronunciare i discorsi ufficiali perché i microfoni saltarono nel trambusto di quei momenti. Mai Gerusalemme aveva accolto un Successore di Pietro”.

“I passi di Paolo VI sulla Via Dolorosa, percorsa per arrivare alla basilica del Santo Sepolcro – continuano i ricordi del sacerdote – furono accompagnati dalla folla festante che lo pressava da ogni lato, quasi trasportandolo. Per respirare un attimo il Papa dovette entrare nella Sesta Stazione dove le Piccole Sorelle gli offrirono un bicchiere di acqua. Arrivato al Santo Sepolcro, il Papa fu accolto dai frati francescani. Il Patriarca latino di Gerusalemme, mons. Alberto Gori non riuscì ad arrivare al Sepolcro perché perso nella folla mentre il card. Eugène Tisserant, segretario della Congregazione per le Chiese Orientali, che accompagnava il Pontefice, si ritrovò spinto dentro una vetrina di orologi. Impossibile pensare a qualcosa di simile oggi”.

“Rimasi colpito dal volto felice del Papa, per nulla intimorito”.

Altro ricordo di quel pellegrinaggio rimasto impresso nella mente di padre Felet fu “la messa celebrata dal Pontefice al suo arrivo al Sepolcro, su un altarino, quasi un tavolo, posto davanti l’edicola, come prevedeva lo Statu quo, all’epoca molto più rigido, che vietava di usare l’altare del Patriarca. Fu una messa senza canti nella quale risuonarono le parole di una preghiera che invocava il perdono di Dio e la sua misericordia”.

(Foto: AFP/SIR)

“Qualcosa di unico”. Ma le emozioni non erano finite perché il giorno dopo, nella serata del 5 gennaio, di ritorno da Nazareth, presso la Delegazione apostolica, Paolo VI si incontrò con il patriarca ecumenico Atenagora, giunto appositamente a Gerusalemme da Rodi.

“Allora si parlò di un incontro affettuoso e ricco di significato, di qualcosa di unico, di una tappa fondamentale nel cammino ecumenico, la cui portata avremmo apprezzato solo in seguito e così sta avvenendo”.

La visita di Atenagora fu poi ripagata da Paolo VI, il 6 gennaio, Solennità dell’Epifania, mentre tornava da Betlemme. “Nella grotta della Natività di Gesù, il Papa celebrò la messa molto presto al mattino perché nello stesso giorno era previsto l’ingresso solenne in basilica dei vescovi greco-ortodossi che si preparavano al loro Natale”. Sono passati tanti anni ma nella mente di padre Felet ancora riecheggiano le parole “profetiche” di Papa Montini nella Grotta: “Desideriamo operare per il bene del mondo… Se il mondo si sente estraneo al cristianesimo, il cristianesimo non si sente estraneo al mondo, qualunque sia l’aspetto che esso presenta e il contegno che esso gli ricambia… Noi sappiamo che l’uomo oggi ha la fierezza di voler fare da sé, e fa delle cose nuove e stupende; ma queste cose non lo fanno più buono, non lo fanno felice, non risolvono i problemi umani nel loro fondo, nella loro durata, nella loro generalità. Noi sappiamo che l’uomo soffre di dubbi atroci. Noi sappiamo che nella sua anima vi è tanta oscurità, tanta sofferenza. Noi abbiamo una parola da dire, che crediamo risolutiva. E tanto più noi osiamo offrirla, perché essa è umana”.