Giornata comunicazioni sociali

Viganò sul messaggio del Papa: “Gli operatori della comunicazione attraversino la Porta Santa del silenzio e dell’ascolto”

Incontro, ascolto, prossimità e misericordia sono parole dal sapore e dal radicamento evangelico attraverso le quali leggere il messaggio per la 50ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali. Per monsignor Dario Edoardo Viganò, prefetto della Segreteria per la comunicazione, “è necessario e urgente recuperare un vocabolario, chiamiamolo ‘misericordioso’, che consenta di entrare nel cuore e nella mente, in definitiva nella persona”

Mons. Dario Edoardo Viganò, prefetto della Segreteria per la comunicazione

Ci sono numeri “importanti e significativi” intorno alla Giornata mondiale delle comunicazioni sociali che la Chiesa celebrerà il prossimo 8 maggio. È la cinquantesima in ordine temporale, un anniversario che rimanda al Concilio Vaticano II: la Giornata, infatti, è l’unica ad essere stata stabilita dal Concilio, di cui a dicembre si sono ricordati i cinquant’anni dalla chiusura. È la prima Giornata che viene celebrata dopo l’istituzione della Segreteria per la comunicazione. E si svolge nel mezzo del Giubileo della misericordia, cui fa diretto riferimento il messaggio di Papa Francesco che sviluppa il tema della “Comunicazione e Misericordia: un incontro fecondo”. “Quelle elencate non sono semplici coincidenze, ma sono puntelli di un unico percorso su cui la Chiesa sta camminando da cinquant’anni. E la Segreteria per la comunicazione è, forse, punto di arrivo e di partenza di questo percorso”, commenta monsignor Dario Edoardo Viganò, prefetto del nuovo organismo vaticano.

Monsignor Viganò, è stato diffuso oggi il messaggio del Papa per la Giornata mondiale. Ci sono delle parole-chiave attraverso le quali leggere il documento?

Incontro, ascolto, prossimità, misericordia:

parole dal sapore e dal radicamento evangelico. Sant’Agostino ricorda che “la nostra anima ha bisogno di solitudine. Nella solitudine, se l’anima è attenta, Dio si lascia vedere. La folla è chiassosa: per vedere Dio è necessario il silenzio”. Incontrando Dio, accogliendo la sua misericordia come balsamo per la vita, siamo capaci di parole e gesti di consolazione e di accoglienza. Papa Francesco torna sempre all’origine. Per questo, in modo efficace, nel messaggio di quest’anno ci ricorda che il “tratto distintivo di tutto l’essere e l’agire” della Chiesa è la misericordia.

La misericordia, quindi, come via privilegiata per comunicare…
La Chiesa è portatrice della memoria di Gesù e, quindi, non può declinare le parole del suo annuncio se non in rapporto alla misericordia. Sono parole attese da chi pensa di essere lontano dal Dio della misericordia, di cui spesso abbiamo un’immagine deformata quale giudice spietato e incapace di coinvolgersi con i limiti della sofferenza. Ma sono anche parole urgenti per la Chiesa stessa che da queste viene rigenerata; d’altronde,

la Chiesa non dimentica che è posta sotto il segno della misericordia senza la quale neppure esisterebbe.

Papa Francesco, nel messaggio, auspica che “anche il linguaggio della politica e della diplomazia si lasci ispirare dalla misericordia”. Forse va a toccare proprio uno dei punti dolenti della comunicazione odierna…
“La comunicazione – scriveva Mounier – è meno frequente della felicità, più fragile della bellezza: basta un nulla a fermarla o a spezzarla tra due soggetti”. Di tale fragilità ne vediamo i riflessi proprio nei luoghi dove massima dovrebbe esserne la cura e la custodia. Infatti,

quando le parole hanno a che fare con il bene comune e pubblico e con il faticoso ascolto – premessa necessaria per ogni negoziazione nazionale e internazionale -, non essere capaci di vigilanza e custodia può portare a esiti molto negativi.

È in fondo un richiamo a tutti coloro le cui parole hanno una ricaduta pubblica.

È un discorso che, per certi versi, riguarda anche i “pastori” ai quali il Papa chiede di “superare”, nella comunicazione, “la logica che separa nettamente i peccatori dai giusti”.
Certamente! Siamo qui al cuore del magistero di Papa Francesco. Ne ha parlato a più riprese e in diverse occasioni. Mi piace ricordare quanto ha affermato il 13 marzo 2015 annunciando il Giubileo straordinario: “Nessuno può essere escluso dalla misericordia di Dio. Tutti conoscono la strada per accedervi e la Chiesa è la casa che tutti accoglie e nessuno rifiuta. Le sue porte permangono spalancate, perché quanti sono toccati dalla grazia possano trovare la certezza del perdono. Più è grande il peccato e maggiore dev’essere l’amore che la Chiesa esprime verso coloro che si convertono”.

Se le porte della Chiesa devono essere spalancate, può mai la sua comunicazione esprimere chiusura? Sarebbe una grave contraddizione!

L’invito, dunque, è a “convertire” la stessa comunicazione. Ma in un tempo di profondi mutamenti mediatici è possibile una comunicazione “misericordiosa”?
“La nostra – affermava il filosofo Ferdinand Ebner – è un’epoca in cui l’arte della parola è senza cuore e senza amore”. Le parole parlanti si sono rarefatte e sempre più frequenti sono le parole parlate. Per questo

è necessario e urgente recuperare un vocabolario, chiamiamolo “misericordioso”, che consenta di entrare nel cuore e nella mente, in definitiva nella persona.

Per fare questo, il primo passo – come scrive il Papa nel messaggio – è aprirsi all’ascolto. La comunicazione, infatti, presuppone l’ascolto, che è fonte di relazioni vere. Di più: l’ascolto sta alla base di un linguaggio autentico, leggero, libero, non appesantito da parole che raccontano solo il proprio “ego”.

Stiamo vivendo il Giubileo della misericordia, quale Porta Santa dovrà essere varcata nell’ambito della comunicazione e dell’informazione?

La Porta Santa del silenzio e dell’ascolto!

Attraversarla per gli operatori della comunicazione significa invocare il perdono per essere divenuti “appendice del rumore”. Significa anche domandare il dono del silenzio e dell’ascolto, “sorta di martirio” – dice il Papa -, attraverso il quale possiamo “condividere domande e dubbi, percorrere un cammino fianco a fianco, affrancarci da qualsiasi presunzione di onnipotenza e mettere umilmente capacità e doni al servizio del bene comune”.