A Torino i clochard potranno usufruire del medico di base e di una assistenza sanitaria pubblica come tutti gli altri cittadini. È un passo in avanti significativo per una città che, nei mesi scorsi, era stata segnata da un travaglio importante proprio nei confronti delle persone senza fissa dimora che, ogni sera, si rifugiano sotto i lunghi portici del centro storico coperti alla bell’e meglio oppure si trovano qualche riparo d’occasione nei parchi e nelle periferie. Poche settimane fa, uno di loro è morto di freddo su una panchina nel quartiere elegante del capoluogo piemontese.
Il cambio di passo di Torino si coglie almeno in due circostanze: l’assistenza sanitaria, appunto, e il delinearsi di una strategia diversa per offrire a chi vive per strada una sistemazione dignitosa almeno per la notte.
Medico di base e assistenza sanitaria pubblica arrivano in virtù di un protocollo operativo che la Regione (il servizio sanitario è su base regionale) ha sottoscritto con prefettura, Comune, città metropolitana, Asl città di Torino, diocesi e Federazione italiana organismi persone senza dimora (Fiopsd). L’intesa affronta il problema principale di queste persone: l’assenza di un indirizzo, di un “posto” che può essere indicato come abitazione, dimora, luogo di riferimento e quindi l’impossibilità di seguirle dal punto di vista sanitario. L’impegno dei servizi regionali è quindi quello di organizzarsi per offrire anche alle persone senza fissa dimora l’assistenza sanitaria “prevista – si legge in una nota –, dai livelli essenziali di assistenza (Lea), favorendo l’accesso ai servizi e promuovendo l’iscrizione al Servizio sanitario regionale e la scelta del medico di base”. Un traguardo che, per essere raggiunto, necessita dell’aiuto di chi con i clochard ha già una consuetudine fatta di attenzione e conoscenza personale.
E non si tratta solo di buone intenzioni. È stata infatti stanziata la somma di 200mila euro, con la quale, in anticipo rispetto all’approvazione del protocollo, si è iniziato a selezionare le strutture del terzo settore in grado di dare una mano e per “rinforzare i servizi di strada e di successivo accompagnamento verso il Ssn, possibilmente con gruppi di intervento multidisciplinari dedicati”.
Punto fondamentale, viene fatto notare da tutti, è proprio riuscire a convincere chi vive per strada a farsi aiutare, offrendo anche dimore in modo differente rispetto a quanto fatto fino ad oggi. E che proprio la questione dei ricoveri sia ormai un’emergenza da affrontare con urgenza, lo riconoscono tutti: in città, i luoghi in cui i clochard cercano ripari di fortuna si moltiplicano. E fanno discutere. Come, per esempio, la sorta di accampamento notturno diventato quasi una consuetudine nella centralissima piazza Castello proprio davanti all’entrata del Teatro Regio.
Per risolvere il problema della dimora, la nuova amministrazione comunale sta cercando di cambiare schema d’azione. Che deve essere più vicino alle reali condizioni di vita delle persone che ne devono fruire e deve fare i conti con la diffidenza, con i conflitti latenti, con l’assoluta mancanza di mezzi e risorse (anche solo per spostarsi da una parte all’altra della città).
Per questo, per esempio, dalla fine di gennaio è stato aperto nella centrale piazza di Porta Palazzo (dove si svolge ogni giorno il più grande mercato della città), una nuova e temporanea struttura emergenziale di accoglienza notturna: quattro tende pneumatiche realizzate dal Comune con la Caritas diocesana di Torino e la Croce rossa italiana. Lì i clochard possono trovare riparo al caldo nelle ore più fredde e l’accompagnamento degli operatori di Cri e delle altre realtà del volontariato locale. Un’iniziativa che nei giorni scorsi ha ricevuto anche la visita di mons. Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino, insieme a Stefano Lo Russo, sindaco della città. Proprio Nosiglia ha rilevato la necessità di cooperazione che in città si sente fortemente. “Il senso di queste tende – ha sottolineato l’arcivescovo –, è sì di affrontare una emergenza: ma è soprattutto quello di continuare e rinforzare un discorso, un dialogo, una relazione con le persone senza fissa dimora. Se ci conosciamo meglio, se siano più vicini, potremo riuscire a fare dei progetti insieme. Per uscire dalle tende, e per rientrare nella città. In più occasioni ho avuto modo di dire che si corre il rischio, a Torino, di vivere in due città diverse. Ma è altrettanto vero che questa è una città che non vuole abbandonare nessuno”.
In generale, la strategia che si sta verificando è quella di creare tanti piccoli luoghi di ricovero al posto di pochi grandi tendoni magari posti in periferia. Accanto ai ricoveri, poi, assistenza sanitaria e “presenza umana” devono fare il resto. Tenendo conto che la popolazione di senza dimora in città è cresciuta ed è cambiata.
E sono proprio caratteristiche e numeri dei senza dimora che fanno pensare a quanto Torino possa essere città paradigmatica di un problema che Covid-19 ha ingigantito, ma anche luogo di sperimentazione di soluzioni nuove. Basta pensare che, stando a quanto reso noto in questi giorni, attualmente le stime indicano una popolazione totale di persona senza dimora di circa 2.500, di cui il 60% di provenienza da altri territori e connotata da una componente crescente di cittadini dell’Unione europea e di Paesi terzi.