Uscirà nei cinema a marzo 2022, forte del traino anche dei prossimi Premi Oscar: è “Licorice Pizza”, commedia sentimentale firmata dal regista cult Paul Thomas Anderson. Un “Tempo delle mele” hollywoodiano a colpi rock anni ’70 che conquista per stile, freschezza e tenerezza. Sognante. E ancora, dal 14 gennaio è disponibile su Netflix la terza e ultima stagione della black comedy “After Life” firmata dal britannico Ricky Gervais. Una scomoda, urticante e al contempo toccante riflessione sulla vita, la morte e l’elaborazione del lutto. Il punto Cnvf-Sir.
“Licorice Pizza”
Amore, amore, amore… sulle note vibranti del rock. E ancora la caotica stagione dell’adolescenza, la voglia di mordere la vita e di innescare l’ascensore sociale cavalcando l’“American dream”. Di tutto questo, e anche di più, ci parla “Licorice Pizza”, l’ultimo film scritto e diretto dallo statunitense Paul Thomas Anderson. L’autore californiano, classe 1970, è considerato uno dei più brillanti e acuti della sua generazione, pluripremiato nei grandi festival – tra i riconoscimenti l’Orso d’oro alla Berlinale per “Magnolia” (2000) e il Leone d’argento alla Mostra del Cinema di Venezia per “The Master” (2012) – e più volte vicino all’Oscar, soprattutto con i film “Il petroliere” (2007) e “Il filo nascosto” (2017). Con “Licorice Pizza”, titolo che viene dal nome di una catena di dischi statunitense, il regista realizza una riuscita e coinvolgente fotografia generazionale, dell’America anni ’70, raccontando l’amore candido e sognante tra due giovani. Sullo sfondo le sirene di Hollywood, il desiderio di evadere dalla periferia e il mondo che vira verso una crisi petrolifera.
La storia: San Fernando Valley, Los Angeles, 1973. In un liceo, sul set fotografico per l’annuario scolastico, si incontrano il quindicenne Gary Valentine e la ventenne Alana Kane. Tra i due nasce una simpatia, che vista la differenza d’età prende il solo sentiero dell’amicizia. Ben presto i rumorosi sogni di futuro dei due giovani trovano strade comuni: prima si lanciano nella vendita telefonica di materassi ad acqua, poi passano per piccoli ruoli su set cinematografici, e infine si mettono in gioco tra l’avventura di una campagna elettorale e l’allestimento di una sala giochi. Tortuosi e spensierati progetti di vita dove riesce a sbocciare anche l’amore…
Che meraviglia è “Licorice Pizza”! Una vera e propria sorpresa in questa vivace stagione cinematografica, film che potrebbe sparigliare le carte ai prossimi Academy Awards. Paul Thomas Anderson è tornato alla regia mostrando il suo indiscusso talento ma anche una ritrovata leggerezza, quella possibilità di abbandonarsi ai vibranti e inebrianti amori giovanili che tutto possono, tutto valicano. “Licorice Pizza” è il racconto di un amore adolescenziale, di un “Tempo delle mele” in salsa hollywoodiana, dove non ci sono scivolate mielose, bensì stilose pennellate di sentimento che girano su note rock.
Il legame tra Gary e Alana è mostrato in tutta la sua giocosità e tenerezza; un amore “grezzo”, puro, come sono anche i volti di questi due giovani attori al loro debutto sul grande schermo, visi non levigati, ma profondamente ordinari, persino imperfetti, che brillano di luce avvolgente e magnetica. Gary e Alana sono interpretati rispettivamente da Cooper Hoffman, figlio del compianto Philip Seymour Hoffman (amico-attore ricorrente nei film di Paul Thomas Anderson), e Alana Haim, nota principalmente come cantante. I due attori emergenti sono il cuore pulsante di un racconto intenso e brillante, scritto e diretto con grande mestiere da Anderson; il film è impreziosito, oltre che da una gustosa colonna sonora cui collabora anche Jonny Greenwood dei Radiohead, anche da guest star di peso come Sean Penn, Bradley Cooper e Tom Waits, nei panni di consumate o scombinate celebrità hollywoodiane.
Nell’insieme “Licorice Pizza” è un’opera che affascina per la cornice storica e per le dotte referenze che Paul Thomas Anderson imbastisce (come un “filo nascosto”) nel tessuto della narrazione, ma soprattutto che diverte e intenerisce nel mostrare un amore goffo, chiassoso, ma così emozionante da rimanere appiccicato. Dal punto di vista pastorale “Licorice Pizza” è consigliabile, problematico e per dibattiti.
“After Life 3” (Netflix)
Non è facile maneggiare la serie “After Life” (2019-22), giunta alla terza e ultima stagione su Netflix. “After Life” è una commedia nera, nerissima, persino caustica, ma anche poetica, scritta, diretta e interpretata da Ricky Gervais, pluripremiato comico britannico, autore della serie Tv “The Office” (2001-03).
Con “After Life” (3 stagioni, ciascuna da 6 episodi da 30’) Gervais racconta la vita di Tony, cinquantenne giornalista di provincia nel Sud dell’Inghilterra che ha appena perso l’amore della sua vita, la moglie Lisa (Kerry Godliman). Tumore. Nulla ha più senso per lui e, archiviato un tentativo di suicidio, incede nell’esistenza senza troppi sussulti, abbandonandosi alla depressione ed esternando le peggiori scorrettezze verbali. Piano piano però qualcosa cambia, capisce che ha bisogno degli altri, e che deve occuparsi degli altri: anzitutto di suo padre, ricoverato in una casa di cura, come pure di suo cognato e dei colleghi della redazione del “Tambury Gazette”, fino alle amicizie strette nei tragitti quotidiani al cimitero.
All’inizio si rimane abbastanza sorpresi dallo stile fosco della serie “After Life”, un racconto irriverente sulla morte (Gervais è noto per la sua comicità pungente e ruvida, ma di grande acume). Progressivamente emerge però tutta la potenza narrativa di questa storia, la sua profondità e il suo struggente afflato poetico. Gervais offre una riflessione contemporanea sul senso della perdita, sullo strappo che si subisce quando si perde una persona cara. Nel corso delle tre stagioni passa dal pessimismo più claustrofobico a un ritrovato passo di fiducia nella vita, soprattutto nel bisogno di condivisione con il prossimo.
In “After Life 3”, mettendo sempre a tema la morte e il lutto, l’autore inserisce anche una prospettiva sull’Aldilà, sul bisogno di credere che esista, anche se non se ne ha certezza; un bisogno di credere soprattutto per chi si ama, per condividere un sogno di salvezza e di speranza. E ancora, quasi come in un’attualizzazione francescana, il protagonista Tony dona i propri averi (il premio assicurativo incassato dopo la morte della moglie Lisa) per far ripartire le vite delle persone prossime, anche conosciute da poco. Un aiuto per guardare al domani.
Infine, senza voler fare spoiler, una parola sulla conclusione. La sua lettura può risultare sfumata, duplice (e persino “ambigua”), proprio perché Gervais forse non vuole imbrigliare lo sguardo dello spettatore, lasciando l’orizzonte aperto. Il dato chiaro è che Tony, seppure si sia piano piano riconciliato con se stesso e il mondo, decide di trascorrere il tempo che resta nel segno del suo amore per Lisa. Non vuole rifarsi una vita, non vuole trovare una nuova donna; il suo amore è e resta Lisa. Il suo tutto. Con non poca fatica Tony è riuscito sì a comprendere che l’esistenza non può ridursi a una vertigine disperante, a una negazione del dolore; è giunto anche alla conclusione che nel Noi si sta meglio che nell’Io, e che bisogna (ri)dare fiato alla fiducia. Detto ciò, Tony non si sente ancora pronto a lasciar andare il ricordo di Lisa, e lo tiene stretto a sé, più che può, nel suo presente e futuro.
“After Life” è di certo una serie adatta a uno spettatore maturo, capace anzitutto di saper gestire gli ostacoli di una comicità scomoda; se si riesce ad aggirare tali scogli, si scopre allora una narrazione poetica e luminosa, marcata da originalità. “After Life” è complessa, problematica e per dibattiti, adatta a un solo pubblico adulto.