“A me e Irene non servono tante parole. Basta uno sguardo per capirci. Tra amici è così”. Parole pronunciate da David Sassoli l’ultima volta che ci eravamo incrociati nei corridoi del Parlamento europeo, a Bruxelles. Da quando era presidente del Parlamento europeo aveva tutti gli occhi puntati e io cercavo di non farmi riconoscere troppo, volevo evitare voci e intrusioni.
David era un grandissimo amico fraterno di mio papà Paolo, e mi è stato molto vicino quando è scomparso. Forse David era una delle poche persone che era riuscita a capire il mio smarrimento con un dolore così grande come la perdita di un padre troppo giovane. Mi riusciva a capire appunto con uno sguardo, senza dovermi tanto spiegare.
David aveva fatto parte di un gruppo di giovani che mio papà, più grande di loro, animava. Da piccola forse ero gelosa di questi ragazzi che venivano a trovare papà a tutte le ore nella casa di Roma o in campagna, a Capranica, che è tuttora un luogo di ritrovo per gli amici di sempre. Tra questi c’erano David Sassoli e Massimo De Strobel, che poi diventarono anche colleghi. Mamma mi racconta che sotto le finestre di casa, appena sposati, spesso si sentiva un fischio particolare: papà si affacciava e li faceva salire a casa.
Prima del loro matrimonio quella casa era stata soprannominata Bunker, forse per il caos di libri e dischi che regnava in tutte le stanze, ma anche perché era una fucina di pensiero oltre che di allegria e di risate.
Sempre il Bunker era stato il ritrovo di ragazzi e ragazze che avevano animato una campagna elettorale per papà, candidato alle elezioni comunali del ‘76. Papà uscì sconfitto dalle elezioni, ma raccontava sempre che era stata un’esperienza che lo aveva arricchito per gli incontri fatti e le amicizie, prima fra tutte quella con don Luigi Di Liegro.
A quel gruppo di giovani teneva delle vere e proprie lezioni, riassumeva il pensiero dei cattolici francesi, che a sua volta gli erano stati consegnati da suo padre, mio nonno Vittorio. David era tra i più assidui, come ricorda nella bella prefazione al libro “Il gomitolo dell’alleluja”. “A spizzichi e bocconi, con un modo molto speciale di irrompere nella nostra vita, Paolo Giuntella ci scarica addosso precetti per la nostra vita che mandavamo a memoria”. Si trattava degli stessi precetti con cui papà ha poi educato anche noi figli. Tra questi: tra giustizia e ingiustizia non esiste il centro; i privilegi ricevuti vanno restituiti con l’impegno di essere al servizio dei più deboli; la non violenza; lo studio e la competenza.
Negli anni, proprio gli amici storici di papà, quei ragazzi sono diventati un riferimento, una famiglia per noi quando abbiamo perso papà. Con il tempo ho imparato quanto sia bello che le vite si intreccino con le amicizie speciali, quelle che non muoiono mai, che aiutano a cambiare il mondo, perché le grandi amicizie rappresentano una forza irresistibile. Ci si rallegra insieme e si piange insieme.
David nei momenti belli c’è sempre stato. Ma anche in quelli tristi non ci ha mai lasciato soli. Mi ha fatto scoprire Bruxelles e mi ha seguito negli anni con molta discrezione e riservatezza. Mi ha spesso rimproverato quando non lo andavo a trovare per non disturbarlo al Parlamento, voleva sempre sapere come stavo, incoraggiandomi a tenere duro anche nelle situazioni più difficili. Ogni tanto lo cercavo per un consiglio e lui c’era, nonostante i tanti impegni.
Da lui, osservandolo, ho imparato come si possa restare sobri pur essendo personaggi noti, come ci si possa amare a lungo, come con sua moglie Alessandra, con cui si erano conosciuti al liceo, e passare attraverso le istituzioni, gli incontri con le massime autorità, e non montarsi la testa… Come si possa restare nella stessa casa di sempre con gli amici di sempre.
Ricordo quando al liceo andai a un campo estivo dei sindacati studenteschi e lui venne a parlare come giornalista: io come al solito speravo di non farmi riconoscere, non volevo dare mai l’idea di “avere conoscenze”. Lui davanti a tutti mi salutò, spiazzandomi, e si sedette a cena con me e gli altri ragazzi. Più volte negli anni mi ha fatto di questi “scherzi”. Il giorno in cui con pochi amici e molti familiari ha festeggiato la nomina al Parlamento europeo c’era una torta che ricordava la favola di Cenerentola e il suo brindisi iniziò con queste parole: “e poi si torna zucca”. Il senso era: non perdiamo la testa, siamo qui per fare un lavoro duro e ci si è arrivati con un colpo di bacchetta magica, ma poi si deve essere pronti a tornare, anzi a restare quelli di sempre.
David è restato quello di sempre. A Bruxelles si era fatto un amico anche al supermercato, un ragazzo senegalese, Momo, che ha vissuto in Italia per diversi anni prima di trasferirsi in Belgio. Un giorno Momo si è accorto che David era italiano, si sono messi a parlare del più e del meno e così da quel momento si scambiavano due chiacchere ogni volta che David faceva la spesa al supermercato. Momo non sapeva che David fosse il presidente dell’Europarlamento. Raccontando agli amici di questo suo amico italiano, Momo ha scoperto che era il presidente del Parlamento. Un giorno, non sapendo che conoscevo David, Momo mi ha raccontato di questo suo nuovo amico importante, David: era molto preoccupato perché negli ultimi mesi non lo aveva più visto, aveva letto che stava male, sperava che tornasse a trovarlo al supermercato.
David era anche questo: restare umano, aprire le porte, anche di un Parlamento europeo, e parlare con tutti. Spero che riusciremo a continuare a piangere e a ridere insieme, di David e di papà, che ci hanno fatto un bello scherzo tutti e due.
(*) giornalista e collaboratrice del Sir