“Dobbiamo oggi domandarci che cosa possiamo fare per recuperare il valore del lavoro; e quale contributo, come Chiesa, possiamo dare affinché esso sia riscattato dalla logica del mero profitto e possa essere vissuto come diritto e dovere fondamentale della persona, che esprime e incrementa la sua dignità”. Ne è convinto il Papa, che nella parte finale dell’udienza di oggi, dedicata a Giuseppe il falegname, ha esortato a chiedersi: “con che spirito noi facciamo il nostro lavoro quotidiano? Come affrontiamo la fatica? Vediamo la nostra attività legata solo al nostro destino oppure anche al destino degli altri?”. Il lavoro, ha spiegato infatti Francesco, “è un modo di esprimere la nostra personalità, che è per sua natura relazionale”. “Il lavoro è anche un modo per esprimere nostra creatività”, ha proseguito a braccio: “ognuno fa il suo lavoro a suo modo, con il proprio stile, lo stesso lavoro ma con stile diverso”. “È bello pensare che Gesù stesso abbia lavorato e che abbia appreso quest’arte proprio da San Giuseppe”, ha esclamato il Papa, che ha concluso la catechesi recitando la preghiera che San Paolo VI elevò a San Giuseppe il 1° maggio del 1969: “O San Giuseppe, Patrono della Chiesa, tu che, accanto al Verbo incarnato, lavorasti ogni giorno per guadagnare il pane, traendo da Lui la forza di vivere e di faticare; tu che hai provato l’ansia del domani, l’amarezza della povertà, la precarietà del lavoro: tu che irradii oggi, l’esempio della tua figura, umile davanti agli uomini ma grandissima davanti a Dio, proteggi i lavoratori nella loro dura esistenza quotidiana, difendendoli dallo scoraggiamento, dalla rivolta negatrice, come dalle tentazioni dell’edonismo; e custodisci la pace nel mondo, quella pace che sola può garantire lo sviluppo dei popoli. Amen”.