“È quasi Natale e non posso non ripensare alla gioia dei miei Natali, quando da piccolo, per le vie del mio paese, nelle case, nella mia scuola, respiravo il tepore di una vita fatta di semplicità ed accoglienza”. Inizia con questi ricordi la lettera di Natale dell’arcivescovo di Napoli, mons. Mimmo Battaglia. “Oggi, invece, mi guardo attorno e in tanti angoli scorgo coperte, come tovaglie di un altare, che riparano dal freddo i corpi e le anime di tanta gente delusa, disperata, afflitta… Ci provo anche io, come i tanti volontari, ad avvicinarmi, a tendere la mano, a offrire un pasto e un posto caldo, ma la solitudine che guardo e respiro ad occhi chiusi è la stessa che mi attanaglia l’anima – prosegue il presule -. Torno a casa, nella mia stanza. C’è una luce accesa, solitaria, fioca, che illumina un’immagine: un crocifisso uguale a quello di S. Damiano. Nel silenzio, mi immergo in quella luce, prendo con avidità tutto il suo calore per donarlo in un unico fiato a fredde solitudini, a profondi dolori, a ricordi gelati da inverni mai vissuti e a profonde e inquietanti malinconie”.
Forse, osserva, “la ricerca del Natale è scorgere la luce della mangiatoia, fioca anch’essa, ma capace di illuminare di fiducia e attesa gli spazi abitati e i secoli di vita. E mi chiedo come, oggi, quella flebile luce possa illuminare e trasfigurare i brandelli delle nostre vite, delle storie che incontro, i mille volti delle persone che ogni giorno rispecchio nel mio volto, le loro fatiche, la loro speranza…”.
Perché “la speranza ci viene incontro vestita di stracci, affinché noi le confezioniamo un abito da festa…”, “nel racchiudere e conservare nel mio cuore quei volti, la luce fioca si fa più intensa e il calore che emana, accende in me la passione per la vita di ogni uomo, di ogni donna, di ogni bambino. Quella luce è il calore di un Dio che si coinvolge nella loro umanità, nella mia umanità, è il Dio con noi. Quella luce che ormai allontana il buio, rinnova la vita, la rigenera, la rinfranca, donandole un nuovo colore, così come la speranza che entra nelle case, nelle storie, nei giorni delle donne e degli uomini di questo nostro tempo”.
E “mentre bacio e tocco quel Crocifisso e consegno ai suoi piedi la mia preghiera”, “si fa strada dentro di me una voce: ‘Abbi cura di me!’. Custodisci il volto di Dio in te. Abbi cura di te. Abbi cura di chi ti vive accanto. Abbi cura di quella speranza vestita di stracci che affiora negli occhi del dimenticato, di chi è stanco, di chi non ce la fa, di chi è solo e ha bisogno di te. Abbi cura di me… Io ne (ho) avrò per te. Custodisci e condividi la cura e vedrai rivelarsi dinanzi ai tuoi occhi il vero volto del Dio bambino”.