Nel mondo ci sono circa 10 milioni di apolidi (dati Unhcr), si stima che tra i 3 ed i 5 milioni siano bambini. In Italia circa 3.000 persone, soprattutto appartenenti alla comunità Rom, sono ancora a rischio apolidia e, secondo il nuovo Country profile pubblicato oggi sullo Statelessness Index, non è stato fatto abbastanza per proteggere i loro diritti. Il Country profile, a cura del Consiglio italiano per i rifugiati (Cir) e dello European network on statelessness, è un’estesa analisi della legislazione, delle politiche e delle prassi italiane in materia di apolidia. Da oggi è disponibile anche nella traduzione italiana. Lo Statelessness Index è uno strumento online che valuta le misure adottate da 27 Paesi europei per ridurre il rischio di apolidia e proteggere le persone apolidi, comparando le prassi con le norme e le buone pratiche internazionali. “Nonostante l’Italia abbia due procedure per il riconoscimento dell’apolidia – commenta Daniela Di Rado, co-autrice dell’analisi e responsabile del settore legale del Cir – queste non sono pienamente accessibili e ritagliate sui bisogni delle persone per le quali dovrebbero essere pensate. La conseguenza è che troppe persone rimangono senza alcun riconoscimento di questa dolorosa condizione e senza poter accedere a nessun diritto. Crediamo che l’introduzione di una riforma legislativa che migliori tali procedure sia un’urgenza non più rinviabile”. “Anche la protezione dall’apolidia dei bambini in Italia – prosegue – dovrebbe essere migliorata. Nessun bambino dovrebbe crescere apolide, altrimenti sin dal primo momento la vita diverrebbe una corsa a ostacoli”. Perciò si ritiene “non più rinviabile la modifica della legge sulla cittadinanza e l’abrogazione della norma stabilita dal Decreto sicurezza, e purtroppo non più modificata, che introduce la revoca della cittadinanza. Nessun bambino dovrebbe crescere apolide”.