“Credo che Gesù continui a nascere ogni giorno, nel senso che dovremmo farlo rivivere dentro di noi. Oggi, come nella Palestina di 2021 anni fa, il bambinello vede simbolicamente la luce nei luoghi meno ospitali del pianeta: sotto le tende di Lesbo, in Grecia, in mezzo a centinaia di profughi; sulle coste italiane, punto d’arrivo dei barconi nordafricani; al freddo e al gelo nei boschi fra Bielorussia e Polonia; al confine desertico fra Messico e Stati Uniti. Ma anche in certe periferie desolate delle metropoli occidentali dove spesso s’accampano i nomadi”. Non usa giri di parole Eraldo Affinati, scrittore e insegnante romano, fondatore con la moglie Anna Luce Lenzi della scuola Penny Wirton per l’insegnamento gratuito della lingua italiana agli immigrati. Con lo scrittore, che nel suo ultimo libro, “Il Vangelo degli angeli” (Harper Collins 2021), “riscrive” i Vangeli ispirandosi, in particolare, a Luca, Giovanni e agli Atti degli apostoli, parliamo del mistero del Natale.
Quale personaggio vorresti essere, e perché?
“Riscrivendo i Vangeli mi sono immedesimato in tutti i personaggi del Nuovo Testamento, rivolgendo una particolare attenzione agli angeli che ho immaginato come guerrieri intestellari addestrati a consegnare i messaggi sorvegliando l’attività di Gesù senza poter intervenire per non compromettere la nostra libertà. E’ stata una cavalcata esaltante fra caratteri, sensibilità, culture e tradizioni. Mi sarebbe piaciuto essere uno dei ragazzini che attorniavano il Nazareno, anche perché insieme a loro lui si realizzava più che con ogni altro, giocando e ridendo, trascinato dall’energia che essi incarnavano.
Che cosa ti sentiresti di dire e di fare davanti a questo Dio Onnipotente che ha scelto di farsi bambino piccolo indifeso e bisognoso di cura? Una resa d’amore incondizionata nei nostri confronti?
Il cristianesimo è la rivoluzione del Dio che diventa uomo. Non più giudice severo e intransigente.
Dio ci prende tutti in carico: buoni e cattivi.
Un’idea meravigliosa che ognuno di noi è chiamato ad assumere e sostenere nella sua vita. Ovviamente anche a negare. Una volta un mio scolaro musulmano mi chiese: professore, ma tu ci credi davvero? Dai suoi occhi capivo che faceva sul serio: era una richiesta decisiva, come sono quelle degli adolescenti. Io gli risposi così: voglio sperarlo. E’ la posizione dantesca. Lui ne andò via al tempo stesso sorpreso e soddisfatto.
Questo segno di contraddizione ha ancora forza per noi, o ci trova indifferenti e inerti?
Dipende da chi siamo.
La scelta fra credere e non credere è la grande prerogativa dell’uomo: la sua nobiltà assoluta. Prendere posizione. O non farlo.
Muovere un passo in avanti, consapevoli del rischio capitale che si corre uscendo dallo stallo in cui siamo. Imperfezione e dolore non saranno così di certo superati. L’inquietudine resterà sempre. La fiducia che pure nutriamo non ci salverà nella realtà penultima come dicono i teologi. Ma se non fosse così, che vita sarebbe?
Giuseppe, racconti, dopo aver aiutato Maria a partorire, la guardava commosso. Quali pensieri, secondo te, attraversavano la sua mente?
E’ vero: Giuseppe guardava commosso Maria mentre lei partoriva. Ma a me commuove anche lui, in quanto, da insegnante, penso che la paternità sia sempre putativa. Considero Giuseppe un lirico del libero arbitrio. E mi spiego: egli aveva attribuito valore fondativo alla scelta di chinare il capo di fronte all’angelo che gli si era presentato in sogno nel momento più drammatico della sua vita. L’aveva fatto affidandosi all’emozione, come un poeta. Quando vide nascere Gesù, non essendo stato lui a concepirlo, Giuseppe fu travolto da un respiro cosmico, incontrollabile e inconoscibile secondo categorie logiche.
Gli angeli, protagonisti del tuo racconto, che come scorte invisibili hanno guidato e protetto Maria e Giuseppe a Betlemme, hanno avvertito i pastori, primi a ricevere l’annuncio evangelico. Perché proprio i pastori? Chi sono i pastori di oggi?
Quando gli angeli si presentano ai pastori per avvertirli del lieto evento sanno di avere a che fare con uomini forti e rudi, poveri e semplici, gente abituata al sacrificio, temprata dalle intemperie, formata alla scuola del ferro e del fuoco. Io mi sono immaginato la scena come un incontro soprannaturale fra le creature celesti e gli ultimi della Terra che appena ricevono il messaggio corrono subito verso la stalla senza perdere tempo a interpretare le parole. Si tratta di uomini antichi, non ancora viziati dagli alibi intellettuali, che sono quasi sempre di origine verbale. Per questo Dio li ha scelti. Ma potremmo essere tutti noi se riuscissimo ad assumere la loro stessa forza d’animo, restando liberi e disponibili di fronte all’esperienza della vita.
Qual è la grande domanda che ci pone ancora il Natale?
Il Natale è sempre una domanda sospesa,
un pendolo che ogni anno oscilla davanti a noi e ci chiede di rispondere: sì o no, sì o no. E’ una scommessa, diceva Pascal, sulla quale puntare tutte le carte, mettendosi nella condizione di perdere con la speranza di poter vincere. Ma questa domanda, da sola, può cambiare la vita già adesso. Non chissà dove e chissà quando, bensì qui ed ora, ogni volta che incontriamo una persona nuova o riscopriamo quella vecchia.
Quale il tuo augurio per questo secondo Natale in tempo di Covid?
Confido che possa aiutarci a comprendere le radici che uniscono, prima di quelle che purtroppo ancora ci dividono.