Un Natale vero, senza retorica. Il racconto di quelle tregue al fronte che hanno fermato la guerra nel 1914

“1914. Qualcosa di nuovo sul fronte occidentale” è il libro di Antonio Besana, esperto di storia militare, che ripercorre le diverse sospensioni dei combattimenti avvenute soprattutto tra il 24 dicembre e il giorno stesso di Natale. Tregue che ci sono state, anche se, lascia capire questo documentatissimo libro, forse la famosa partita di calcio tra nemici al fronte è una leggenda, che, come tutte le leggende, ha una parte di verità, fatta di frammenti di alcune partitelle, palleggi, ammucchiate (in un caso si parla di 100 “giocatori”), rincorse di palloni il più delle volte fatti di stracci, pezzi di vestiti, o semplici lattine vuote tra soldati nemici o della stessa nazionalità

(Foto Creative Commons)

Chi sostiene che Natale non significhi più nulla, e che sia anzi una tradizione potatrice di frammentazione e separazione tra popoli dovrebbe leggere questo “1914. Qualcosa di nuovo sul fronte occidentale” (Edizioni Ares, 320 pagine, 15 euro) di un esperto in materia di storia militare, Antonio Besana.

Perché, come spiega il sottotitolo, si tratta di un lungo viaggio sui campi di battaglia della Tregua di Natale: una, anzi, diverse sospensioni dei combattimenti avvenute soprattutto tra il 24 dicembre e il giorno stesso di Natale, con qualche sporadica replica intorno all’ultimo dell’anno 1914.

Le tregue ci sono state, non c’è dubbio, e forse, lascia capire questo documentatissimo libro, la famosa partita di calcio tra nemici al fronte è una leggenda, che, come tutte le leggende, ha una parte di verità, fatta di frammenti di alcune partitelle, palleggi, ammucchiate (in un caso si parla di 100 “giocatori”), rincorse di palloni il più delle volte fatti di stracci, pezzi di vestiti, o semplici lattine vuote tra soldati nemici o della stessa nazionalità. Con la sorpresa di apprendere che alcune foto “storiche” della ipotetica famosa partita non riguardano l’evento che sarebbe accaduto sul fronte nord-occidentale il primo inverno di guerra, ma altre situazioni, e il più delle volte tra soldati della medesima nazionalità.

Besana su quei campi ci va, li confronta con le foto d’epoca, con le lettere, le lapidi, le storie, non solo la storia maiuscola. Ne esce fuori l’impressione che il tanto vituperato Natale abbia compiuto un autentico miracolo, fatto di tanti piccoli eventi incredibili a chi leggesse i libri di storia senza il conforto di questa ed altre testimonianze. Perché nelle medesime zone in cui si sono combattute battaglie non solo sanguinose, ma atroci, come le tre di Ypres in cui fu fatto uso di gas (e sulle conseguenze di questo uso sarebbe bene leggere alcune terrificanti testimonianze dirette qui riportate, oltre ogni retorica e immaginazione), o la Somme, dove si è combattuto praticamente per tutta la durata del conflitto. Da Hill 63 in poi si susseguono testimonianze scritte, lapidi, foto, narrazioni di una serie di eventi che hanno al loro centro focale la capacità del Natale di tornare al cuore degli uomini, alla costruzione e non alla distruzione, allo sguardo fraterno e non all’odio.

Non è retorica. Su un lungo fronte bellico (circa 50 chilometri), soldati tedeschi, come mostra la foto di copertina, fanno intravedere alberi di natale con le candele accese, poi escono dalle trincee, disarmati, invitando gli altri (soprattutto inglesi ma non solo) a fare altrettanto. Fu così che, nonostante i richiami, l’ira, le minacce degli ufficiali, avvenne l’incredibile. Nemici che si erano fronteggiati a cannonate, che avevano perso amici ancora insepolti nelle terre di nessuno, si scambiavano dolci, viveri d’ordinanza, bevande, bottoni, foto, tutto quello che era rimasto ad ognuno nel corso di un inverno che aveva mostrato la lontananza della guerra moderna dalle immagini romantiche del guerriero spada in mano, vive nell’immaginario dei giovani volontari. Lo stesso “guerriero” e scrittore Ernst Jünger (le sue “Tempeste d’acciaio” narrano la guerra da quel punto di vista), che poi aderirà al nazismo per poi allontanarsene alla rivelazione della sua vera essenza, lamentava la fine di quell’epoca “eroica”.

“Così, dopo tutto, la festa di Natale, la festa dell’amore, ha causato che gli odiati nemici per un breve periodo di tempo siano diventati amici. Non dimenticherò mai questo Natale!”, è la testimonianza di uno di quei guerrieri che si affrontavano tra fango, pioggia, frane, in uno scenario che non era più quelle dell’Iliade o delle saghe germaniche. Per tutti loro, celti, sassoni, franchi, come sarebbero stati chiamati un tempo, credenti o meno, il Natale ha rappresentato, a millenovecentoquattordici anni dal primo, qualcosa di legato intrinsecamente all’uomo, fin dalle origini, ma a cui quell’evento ha dato una natura reale, condivisa, affascinante, anche nella società dell’odio e poi dei consumi.

“E allora ho pensato, bene, questa è stata certamente una cosa straordinaria: due nazioni che entrambe cantano lo stesso canto di Natale nel mezzo di una guerra”.

La riflessione di un fuciliere inglese vale più di qualsiasi astratto abolizionismo.

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