Nella policromia dei tempi liturgici, torna anche quest’anno, secondo quella prevedibilità che non annoia mai e che evoca i primi sentori del Natale, il morello dell’Avvento. Non il viola scuro e austero della Quaresima, ma un suo parente prossimo, la cui tonalità è come irradiata e rischiarata dall’interno da un che di aureo, presagio della festa più attesa anche dal mondo che ignora l’opera di Dio; qualcosa di latentemente luminoso, che gradualmente si dispiegherà nel bianco fulgido della liturgia natalizia.
I puristi storcono il naso perché già compaiono le decorazioni rosse e verdi, i primi panettoni, le canzonette tintinnanti: “Ma non è ancora Natale!” inveiscono… eppure la faccenda è meno banale, meno meramente commerciale, di quanto si immagini. Iniziano a comparire i segni del Natale già in Avvento, perché niente appare all’improvviso quando è vero, ma giunge come pienezza manifesta di qualcosa che man mano è andando delineandosi nel tempo.
Tutto nella vita richiede preparazione, e la preparazione è appunto il graduale dispiegarsi della cosa, fino alla sua piena attuazione. In greco questo processo ha un nome: “physis”, che noi traduciamo anche come “natura”, il processo di ciò che si svela attuandosi, passando dal potenziale all’effettivo.
E così la manifestazione di Dio tra gli uomini ha avuto tutta la precedente storia della salvezza come preparazione, come graduale esplicitazione del nesso tra l’uomo e Dio, fino al culmine dell’incarnazione e della nascita. In modo analogo e simbolico, si arriva alla celebrazione del Natale man mano disseminandone i segni e i sentori, alimentando così, di settimana in settimana, il desiderio di vedere il Signore nella sua ultima venuta ricordando la prima.
Alle cose si arriva preparandosi: ecco l’errore dell’immediatismo consumistico, che volendo “tutto e subito” pensa di “switchare” da una cosa all’altra, abitandola sempre e solo inevitabilmente a metà.
Alle cose bisogna prepararsi: lo dico sempre ai ragazzi dei miei gruppi, quando pensano che basti arrivare a Messa quando la Messa inizia. Eh no: devo arrivare prima, per predispormi all’incontro svuotando la mente dai residui della cosa immediatamente precedente, così da non stare continuamente con un pezzo di me stesso altrove.
È interessante notare che questa lezione della preparazione la Chiesa l’ha compresa quasi da subito, e l’ha fatta sua fino in fondo: all’inizio del Cristianesimo la Quaresima era solo dal Giovedì Santo sera fino al Venerdì Santo; nei secoli, man mano che la vita ordinaria dei Cristiani diveniva sempre meno austera, si comprese che questa preparazione andava allungata, e dopo vari tira e molla (siamo arrivati persino a una Quinquagesima…) ci si è attagliati a un tempo congruo di quaranta giorni, tempo adeguato per prepararsi decentemente a festeggiare la Pasqua.
Nel frattempo si è sentita la necessità di un analogo tempo di preparazione anche per il Natale, ed ecco l’Avvento!
Si noti che ci sono delle caratteristiche comuni a tutti i tempi di preparazione: l’attestazione chiara di un bisogno (di essere visitati e salvati), che ricorda il perché si attende; la vigilanza, per non perdere alcun indizio di quanto sta per arrivare; il digiuno, per fare spazio alle cose buone che arrivano.
Ma in fondo, non sono queste le caratteristiche che preludono ogni incontro lieto, ogni cena con gli amici, ogni festa davvero desiderata? Rimanere liberi per farsi riempire; prepararsi, farsi belli, sistemarsi, per dare valore all’incontro; scrutare l’orizzonte, controllare il cellulare, per vedere se abbiamo ricevuto qualche messaggio o chiamata di avviso dell’arrivo: la liturgia non ci propone nulla che non sia già profondamente insito nella nostra vita e nei nostri bisogni, nei nostri atteggiamenti più naturali e nei nostri desideri più genuini. L’Avvento, in questo senso, non fa che ricordarci che ogni cosa buona, dalla torta della mamma alla Parousia, richiede un tempo di preparazione.