“Pregare per le vittime degli abusi, per coloro che hanno ricevuto sulla propria pelle e nel proprio cuore ferite così gravi. Ci vogliamo fare carico di questi dolori, chiedendo perdono. Ma vogliamo nello stesso tempo che questa iniziativa aumenti la coscienza e la responsabilità di tutto il popolo di Dio nei confronti dei bambini, dei ragazzi e degli adolescenti affidati alla nostra custodia in tutti i nostri ambienti, dalle parrocchie agli oratori alle scuole”. Così mons. Lorenzo Ghizzoni, arcivescovo di Ravenna-Cervia e presidente del Servizio nazionale della Cei per la tutela dei minori e degli adulti vulnerabili, presenta la prima Giornata nazionale di preghiera per le vittime e i sopravvissuti agli abusi che si celebra giovedì 18 novembre. Varie sono le iniziative promosse a livello locale dalle diocesi. A Bolzano, per esempio, si terrà un convegno dal titolo: “Coraggio parliamone! Opportunità e sfide per elaborare l’abuso di potere e di violenza” dove parteciperanno anche persone che hanno vissuto esperienze di abuso. A Piacenza in Duomo si svolgerà una veglia di preghiera con il vescovo mons. Adriano Cevolotto mentre a Cuneo la Giornata si vivrà domenica 21 novembre e viene presentata come un’iniziativa che “indica la volontà della Chiesa italiana di ribadire e proseguire nella svolta di trasparenza e di ‘parresia’ in nome del Vangelo confermata dalle decisioni di questi ultimi anni”. A Bologna si presenta alla città con il card. Zuppi il Servizio diocesano con un convegno e la domenica la preghiera nelle comunità.
Mons. Ghizzoni, negli ultimi tempi molte Chiese in Europa, dalla Francia alla Germania, sono state profondamente scosse da Indagini choc sugli abusi commessi nella Chiesa. Perché in Italia questa piaga fa fatica ad emergere in maniera così forte?
In realtà, anche in Italia questa piaga esisteva ed esiste. Nei Paesi citati, le denunce, le segnalazioni e i ricordi del passato si sono manifestati in gran numero anche per una dinamica particolare di reazione a catena. Anche in Italia, ci sono stati vari casi di reato, ma non c’è stata l’ondata che si è abbattuta altrove.
Solo pochi giorni fa, un’operazione di polizia coordinata dalla procura di Torino è riuscita a smantellare una rete di pedopornografia e tra gli arresti figura anche un sacerdote. Gli inquirenti dicono di essersi trovati di fronte ad immagini “raccapriccianti”. Lei cosa prova quando legge queste notizie?
E’ terribile. Credo che queste realtà suscitino in tutti disgusto, forse anche rabbia, ma nello stesso tempo l’impegno e il desiderio di spegnere per sempre questo mercato così turpe. In Italia, per esempio, esiste l’attività di don Fortunato di Noto che opera proprio per contrastare la pedopornografia. Le sue denunce rivelano che c’è un aumento notevole e particolarmente grave in questi ultimi tempi a causa della pandemia, dello sfruttamento di minori e anche di bambini piccoli, addirittura di pochi mesi, per la creazione di video e immagini di pedopornografia. Va detto però che se c’è una produzione di materiale pedo-pornografico, c’è anche una quantità notevolissima di consumatori che alimentano il mercato. Occorre allora sensibilizzare l’opinione pubblica: dietro ad ogni immagine, c’è uno sfruttamento, una violenza. Ci sono reati gravissimi, ferite inferte per sempre.
Torniamo agli abusi commessi nella Chiesa. È opinione comune che su questo versante la Chiesa italiana fa troppo poco. Lei come risponde a queste critiche?
In tanti Paesi, non in tutti, ci sono state queste ondate di casi e denunce. Noi – come dicevo prima – non l’abbiamo avuta. Ma questo non dipende dal fatto che la Chiesa italiana stia spegnendo, trascurando o tacitando le vittime o le denunce. Devo invece dire che dalle notizie che raccogliamo in questi ultimi anni, molte diocesi si sono mosse e quando dei casi sono stati segnalati o denunciati, c’è stata una reazione di responsabilità ed un intervento secondo le norme e le Linee Guida che ci siamo dati. Posso quindi dire con certezza che oggi in Italia questo si fa.
Concretamente cosa si fa?
Abbiamo predisposto una rete di Referenti, responsabili dei Servizi diocesani per la tutela dei minori, presenti ed operativi in tutte le diocesi italiane. Questi Referenti sono per metà persone che appartengono al clero e per l’altra metà laici – in gran parte donne. Sia gli uni che gli altri sono persone qualificate ed hanno competenze in questo ambito. Ci siamo dati poi delle Linee guida, approvate dai vescovi italiani che danno indicazioni forti. Uno di questi orientamenti, per esempio, è l’impegno morale dei vescovi a denunciare tutti coloro, compresi chierici e religiosi, che si sono macchiati di questo reato e a collaborare con la magistratura, su tutti i casi e sempre. È un impegno morale che va oltre la legge italiana.
Sta quindi dicendo che il fatto che ci siano dei referenti in ogni diocesi significa che dappertutto la vittima di un abuso o i suoi familiari possono bussare alla porta del vescovo?
Sì, e non solo bussare ma essere ascoltati. C’è sul sito del Servizio nazionale per la tutela dei minori l’elenco di tutte le diocesi con i relativi numeri di telefono e le e-mail a cui ci si può rivolgere. Noi pensiamo che anche grazie a questo tipo di iniziativa, verranno fuori casi nuovi e del passato. Il referente e il centro di ascolto laddove è nato, sono garanzia che la Chiesa diocesana si rende disponibile ad ascoltare e accompagnare.
In vista del 18 novembre, quale parola vorrebbe rivolgere alle vittime, agli abusatori ancora nascosti?
Alle vittime, chiediamo perdono ed esprimiamo tutta la nostra vicinanza umana e soprattutto disponibilità ad accogliere la loro esperienza, ascoltare la loro storia e accompagnarle secondo le loro esigenze. Agli abusatori, invece, direi questo: qualunque cosa sia successa nella vostra vita, venite fuori, chiedete aiuto, parlate con degli esperti e affidatevi ad un accompagnamento psicologico e spirituale. Da soli non ne uscirete mai.
E alle comunità cattoliche sparse in Italia, cosa vorrebbe dire?
Il Papa ci chiede di reagire tutti insieme perché per rendere sani e sicuri i nostri ambienti e le nostre attività bisogna che tutti facciano la propria parte. Se accadesse l’opposto, se cioè ci disinteressiamo del problema o lasciamo fare solo ad alcuni addetti ai lavori, rischieremmo non solo di compiere un peccato di omissione, ma di fallire nell’intento di essere comunità che mettono al centro una cultura del rispetto per la persona umana, soprattutto se minore e vulnerabile.