Mercoledì 26 aprile 1967. Irene Zanfino ha sei anni e mezzo, frequenta la prima elementare e sta tornando a casa da scuola insieme alla nonna. “Vedi te, mi sono dimenticata di comprare il giornale per il nonno!”. “Non ti preoccupare nonna, ci vado io”. Con la moneta da 50 lire stretta nella mano, Irene s’incammina contenta verso l’edicola. Attraversa viale Druso, una delle arterie più importanti e trafficate di Bolzano, all’altezza dell’omonimo ponte. Il semaforo all’incrocio diventa giallo. Un’auto accelera nel tentativo di passare prima che scatti il rosso. L’aria viene rotta dal suono acuto e stridulo di una brusca frenata, poi un tonfo sordo. Irene viene centrata in pieno e, dopo un volo di una ventina di metri, sbatte rovinosamente la testa sull’asfalto. La donna che era alla guida, scesa dall’auto si avvicina alla piccola, che non dà segni di vita. La carica subito in macchina e la porta al pronto soccorso. Grave commozione cerebrale con sospetta frattura della base cranica: una diagnosi che non lascia speranze. Irene è in coma e i medici, vista la gravità delle sue condizioni, si rifiutano di tentare di rianimarla perché, anche se si fosse ripresa, nella migliore delle ipotesi sarebbe rimasta cieca e paralizzata.
Viene subito avvisato il nonno della bimba, che era l’economo dell’ospedale. “La bambina deve essere rianimata”. L’insistenza dell’uomo spinge i medici a fare un tentativo. Il dott. Toffol inizia le pratiche di rianimazione e Irene ricomincia a respirare autonomamente, ma è in coma profondo. Viene messa in una stanzetta singola, con una flebo al braccio. Nulla di più. Per i medici le sue condizioni sono disperate e c’è spazio solo per la preghiera. Al suo capezzale si alternano i parenti e le suore Ancelle della Carità, che prestano servizio in ospedale come infermiere. Sr. Carmelita Armellini e la superiora sr. Innocenza Milani, suggeriscono ai familiari di Irene di pregare sr. Lucia Ripamonti, una loro consorella morta nel luglio 1954 in concetto di santità. L’immaginetta di sr. Lucia viene messa sotto il cuscino di Irene. Passano i giorni e nella stanzetta il tempo scorre lento, tra preghiere e disperazione.
Giovedì 4 maggio 1967, festa dell’Ascensione. A più di una settimana dall’incidente, quando lo sconforto ha oramai preso il sopravvento sulla speranza, Irene riapre gli occhi e inizia a parlare. Tende la mano chiedendo dov’è la moneta da 50 lire che le serve per comprare il giornale al nonno. Poi – tra la gioia e lo stupore di chi l’aveva vegliata notte e giorno – si alza dal letto e inizia a camminare.
Irene lascia l’ospedale il 25 maggio. Sta bene. Non ha alcun segno o conseguenza dell’incidente.
Sulla lettera di dimissioni, firmata dal primario, il dott. Kuno Albert Steger, si legge: “Viene dimessa in data odierna ‘risuscitata’ la piccola paziente Irene Zanfino, ricoverata per trauma cranico gravissimo”.
Trascorrono gli anni. Irene Zanfino completa gli studi e diventa infermiera, si sposa con Marco Stefanini e la loro famiglia viene rallegrata dall’arrivo di tre figli, Simone, Martino e Tommaso.
“Sapevo dell’incidente – racconta al Sir – anche se mi hanno sempre raccontato molto meno di quanto è realmente accaduto. Quando andavo in vacanza nel paese natale di mia nonna, in val di Rabbi (Trentino), mi chiamavano ‘la miracolata’, ma per me era un soprannome come tanti altri, nulla di più”.
Nel 2011 a casa Zanfino arriva una lettera da Brescia. Sr. Paolisa Falconi, che nel 1991 ha preso in mano la causa di beatificazione di sr. Lucia Ripamonti, sta cercando Irene. “Ha mandato lettere a tutti i miei parenti – ricorda Irene –. Studiando la documentazione della causa, sr. Paolisa aveva scoperto la lettera che mio nonno aveva mandato alla casa madre delle Ancelle della Carità, lettera di cui noi non abbiamo mai saputo nulla, anche perché mio nonno (che nel frattempo era morto, ndr.) era una persona molto riservata. Mio nonno raccontava la storia del mio incidente e della mia guarigione, per la scienza inspiegabile, e ringraziava sorella Lucia per la sua intercessione”. È in quel momento che Irene sente parlare per la prima volta di sr. Ripamonti e, a 44 anni da quel 26 aprile, scopre i dettagli del suo incidente. Nel 2012, nella diocesi di Bolzano-Bressanone viene avviata l’inchiesta diocesana sulla sua guarigione miracolosa, che si conclude dopo qualche mese.
“Abbiamo scoperto dai verbali di allora, che a investirmi era stata una donna – racconta Irene -. Non so come si chiama, so solo che qualche giorno dopo l’incidente mi ha portato una statuetta della Madonna, che ho ancora qui con me, a casa”.
Irene impara a conoscere sorella Lucia – come ama chiamarla lei – la sua storia e la sua opera: “Era cresciuta in una famiglia numerosa; il suo desiderio era quello di fare l’infermiera e di assistere i malati, ma non aveva la necessaria formazione e non c’erano i soldi per farla studiare. Una volta entrata nelle Ancelle della Carità divenne suora mandataria: faceva con grande umiltà e semplicità le pulizie e portava da mangiare ai poveri. Sebbene quello che stava facendo non era quello che desiderava, sorella Lucia era felice”.
Il grande desiderio di sr. Lucia era quello fare l’infermiera e – gli strani intrecci della vita – Irene, la bimba guarita grazie alla sua intercessione, è infermiera.
“Sorella Lucia è per me un’amica, una persona di famiglia, a cui chiedere aiuto e a cui affidare problemi e preoccupazioni, con cui condividere le mia vita
– racconta Irene -. Ogni mattina è nelle mie preghiere. Le affido tutta la mia giornata e a chi è in difficoltà suggerisco di pregarla e di chiedere il suo aiuto”.
Irene ha sempre creduto nei miracoli: “Non tanto per quello che è accaduto a me, ma in generale: credo che il Signore operi nelle nostre vite in tanti modi, spesso nascosti”.
Oggi, però, per lei, che non ama e rifugge i riflettori e il clamore delle cronache, tutto questo ha un valore ancor più profondo. Lo ha percepito durante la cerimonia di beatificazione di sr. Ripamonti, che si è svolta sabato scorso (23 ottobre) nel duomo di Brescia, a cui ha partecipato insieme al marito Marco e a tutta la sua famiglia, che di recente si è ampliata accogliendo anche due bei nipotini, il primo di un anno e mezzo e il secondo di 4 mesi.
“Le suore avevano previsto che, durante la processione, io portassi dei fiori – racconta Irene con la voce rotta dalla commozione -. Quando sono stata accompagnata in fondo alla chiesa per prendere i fiori, la signora che mi ha dato la composizione di rose bianche mi ha chiesto, con le lacrime agli occhi ‘sei tu la miracolata?’ e mi ha stretto le mani. Un gesto semplicissimo, che mi ha lasciata senza parole e che ancora adesso mi tocca il cuore: io sono una persona come tutte le altre e non ho fatto nulla di speciale”.