Una comunicazione chiara e affidabile potrebbe bastare a convincere l’esercito di indecisi che continua a rinviare la vaccinazione anti-Covid-19? Perché oltre allo “zoccolo duro” degli irriducibili no-vax nostrani – ed oggi anche no-green pass – circa 850mila secondo il sondaggio Flash Eurobarometer 494, esiste in Italia un esercito di almeno 2,7 milioni di indecisi che forse potrebbero essere recuperati alla campagna vaccinale, mettendo se stessi in sicurezza e agevolando il (comunque difficile) raggiungimento dell’immunità di gregge.
Ed infodemia e fake news non aiutano.
E’ una corsa contro il tempo, anche perché il 28 settembre ha preso il via la somministrazione della dose “booster” (terza dose) agli over 80 e agli ospiti delle Rsa, dopo la terza immunizzazione dei primi vaccinati “fragili” (immunocompromessi e trapiantati). Al tema è dedicato uno studio internazionale condotto dalla Università Cattolica, campus di Roma, in collaborazione con New York Medical College, Università di Belgrado e Università di Verona, appena pubblicato su EclinMedicine del gruppo The Lancet.
“Le persone attualmente ricoverate in ospedale per complicanze legate al Covid-19 o che muoiono per queste complicanze sono per la quasi totalità non vaccinate”, esordisce Fidelia Cascini, docente di Igiene generale e applicata all’Università Cattolica, campus di Roma e primo autore dello studio. ”L’esitazione vaccinale – prosegue – è un fenomeno multifattoriale influenzato da fattori cognitivi, psicologici, socio-demografici, politici e culturali. Nel caso del Covid-19, la velocità alla quale sono stati sviluppati i vaccini ha rappresentato un importante contribuito”. Ma i pilastri su cui questa esitazione si fonda sono, secondo lo studio, essenzialmente quattro:
tempo, consapevolezza, personalizzazione, confidenza.
Di qui l’importanza di mettere in campo “strategie innovative per rispondere direttamente ai bisogni espressi dalle persone, che sono i driver dei loro comportamenti, affrontando i motivi alla base dell’esitazione”. Per ognuno dei quattro pilastri, gli autori dello studio propongono dunque una possibile soluzione.
Tempo. Secondo i ricercatori, la disponibilità delle persone a farsi vaccinare aumenta quando viene consentito loro un’attesa più lunga, e da questo punto di vista, la velocità alla quale sono stati messi a punto i vaccini contro il Covid-19, rappresenta paradossalmente un problema perché aumenta la percezione di una loro scarsa sicurezza. Di norma le persone chiedono a industrie farmaceutiche e autorità sanitarie più informazioni sulle fasi del processo di sviluppo dei vaccini e dei nuovi farmaci, prima che questi arrivino sul mercato. Ma il tempo gioca a sfavore anche se correlato a distanze o difficoltà di raggiungere l’hub vaccinale. Come a Fiumedinisi, in provincia di Messina, uno dei comuni italiani con il più basso tasso di vaccinati (meno del 40%): secondo il sindaco è anche colpa del fatto che il centro vaccinale più vicino è ad oltre un’ora di auto, su strade poco agevoli.
Consapevolezza. Il grado di esitazione verso i vaccini aumenta quando le persone sono poco informate sui benefici, ma anche sui rischi degli stessi, o quando l’informazione appare opaca e/o contraddittoria, quantomeno confusa, come nel caso di AstraZeneca. Tra le popolazioni più “esitanti” – il fenomeno è mondiale – quelle dei contesti a basso reddito, le minoranze razziali e/o etniche e le persone con un basso livello di istruzione. Secondo i ricercatori, informazioni più complete e comprensibili a tutti sono la chiave per cancellare dubbi e paura del nuovo, e potrebbero ridurre significativamente l’esitazione vaccinale.
Personalizzazione. Le differenze nei meccanismi d’azione dei vaccini attualmente disponibili (mRNA, vettore virale) contribuiscono ad influenzare il grado di accettazione/livello di esitazione delle persone. La principale barriera alla vaccinazione è la qualità delle informazioni su sicurezza ed efficacia di uno specifico vaccino rispetto agli altri disponibili; aspetto reso più complesso dalla rapidità con la quale viaggiano informazioni (e disinformazione) su Internet e social media. Migliorare le strategie di comunicazione ufficiali per combattere la disinformazione, faciliterebbe il dialogo con le persone e l’accettazione vaccinale.
Confidenza. Strategica la capacità degli operatori sanitari di guadagnarsi la fiducia e la simpatia delle persone. “Avere l’impressione di trovarsi al cospetto di un professionista competente, aperto e onesto, gioca un ruolo fondamentale”, spiega ancora Cascini secondo la quale “le minoranze etniche e le persone provenienti da comunità a basso reddito, si trovano più a proprio agio con professionisti sanitari vaccinatori provenienti dal loro stesso contesto culturale e/o appartenenti alla loro comunità, con cui riescono ad instaurare un rapporto più confidenziale”. Importante, dunque,“offrire ai vaccinandi un ambiente familiare, incentivando l’impegno di operatori di un determinato contesto socio-culturale, nelle aree considerate vulnerabili”.Secondo l’esperta, occorre rafforzare la comunicazione ufficiale perché l’affidabilità percepita svolge un ruolo importante nello sviluppo della fiducia: in particolare,
“la fiducia nei confronti delle autorità è cruciale nel guidare le persone verso l’accettazione dei vaccini”.