“Quando i bambini sono accolti, amati, custoditi, tutelati, la famiglia è sana, la società migliora, il mondo è più umano. Pensiamo all’opera che svolge l’Istituto ‘Effetà Paolo VI’ in favore dei bambini palestinesi sordo-muti: è un segno concreto della bontà di Dio. È un segno concreto che la società migliora”: così Papa Francesco nella messa celebrata, il 25 maggio 2014, nella piazza della Mangiatoia a Betlemme, una delle tappe più significative del suo viaggio in Terra Santa. Voluto da Paolo VI, dopo la sua visita in Terra Santa nel 1964, gestito dalle suore della Congregazione di Santa Dorotea di Vicenza, Effetà, oggi è una vera e propria “grotta vivente”, posta tra muri e check-point che circondano la città natale di Gesù. All’interno dell’istituto si pratica la rieducazione audio-fonetica dei bambini dei Territori Palestinesi, nella consapevolezza che la sordità non è un ostacolo per un’affermazione personale nell’ambiente civile. “Effetà!”: apriti, è la parola emessa da Gesù per guarire un sordomuto che così torna ad udire e dunque anche a parlare, uscendo dall’isolamento in cui la malattia lo aveva confinato.
Il 30 giugno 1971 il card. Massimiliano Furstemberg inaugurò la scuola. Il 6 settembre 1971 i primi 24 bambini iniziarono il programma riabilitativo audio-fonetico. Dopo 50 anni l’Istituto – una vera e propria eccellenza scolastica nel disastrato panorama politico, sociale, economico e sanitario palestinese, messo ancora più a dura prova dal Covid-19 – continua nel miracolo di donare dignità ed integrazione ai suoi alunni (Per informazioni e aiuti: ephpheta2017@gmail.com). Il Sir ha parlato con madre Anastasie Teby, responsabile dell’Istituto.
Madre Teby, dopo 50 anni, qual è l’importanza di questo Istituto per la popolazione palestinese, soprattutto quella più vulnerabile?
L’Istituto “Effetà Paolo VI” è molto importante per la popolazione palestinese perché qui è molto alta la percentuale delle persone che soffrono di gravi limiti uditivi e quindi prive di comunicazione e socializzazione. Nella nostra scuola dopo un lungo e paziente esercizio di rieducazione audio-fonetica si impara a parlare e a esprimere i propri sentimenti quasi come qualsiasi persona, e dunque a gestire la propria vita con serenità. Sono passati 50 anni e la nostra scuola rimane ancora l’unica in territorio palestinese che restituisce dignità alla persona sorda, facendola sentire normale nonostante il limite di cui è affetta.
L’Istituto nasce per volere di Paolo VI che durante la sua visita del 1964 notò la presenza di numerosi bambini non udenti privi di assistenza, e decise così di realizzare un’opera educativa per la loro riabilitazione. Quanto è alta l’incidenza della sordità tra la popolazione palestinese?
Per diffusione la sordità è la seconda causa di disabilità in Palestina. La sordità colpisce il 3% circa della popolazione e nelle zone più isolate anche il 15%, tra le percentuali più alte al mondo. La causa è legata per la maggior parte a due fattori: la consanguineità e l’ereditarietà. I nostri studenti sono per la maggior parte figli di consanguinei. Molti provengono da villaggi isolati, fra Betlemme e Hebron, dov’è tradizione sposarsi fra cugini anche di primo grado.
Come è cresciuto l’Istituto in questi anni?
Accogliamo circa 190 alunni, in stragrande maggioranza musulmani, che vengono da Betlemme e paesi vicini, Hebron, Gerico, Jenin, ʿAnātā e Gerusalemme. E il numero cresce ogni anno. Per alcune bambine che abitano molto lontano, impossibilitate a frequentare giornalmente a causa dei check point israeliani, la scuola offre loro un convitto settimanale fino al venerdì, quando rientrano a casa. Il Centro è stato sempre aperto ai segni dei tempi. Da diversi anni ha aperto la rieducazione precoce logopedica individuale dei piccoli a partire dai 6/8 mesi, da quando cioè viene loro diagnosticata la disabilità e accompagnati fino all’inserimento nella scuola: dalla quella di infanzia fino all’esame di maturità.
In che modo l’Istituto forma e aiuta i suoi alunni ad affermarsi nella vita civile? Ci sono esempi di vostri studenti che sono riusciti ad affermarsi e a costruirsi una vita integrata e normale?
Dopo avere completato il curriculum scolastico, alcuni hanno avuto il coraggio di affrontare l’università, altri invece hanno frequentato scuole professionali con risultati soddisfacenti. L’inserimento nella società civile, nel mondo del lavoro, li rende orgogliosi e li fa sentire persone realizzate, capaci di prendersi le proprie responsabilità e gestirle con senso di maturità. Spesso e volentieri tornano in Istituto per un semplice saluto, per chiedere consiglio, suggerimenti. Alcuni sposati vengono a presentare la propria famiglia, altri invece arrivano per iscrivere i loro figli.
Tanti mostrano riconoscenza, fiducia e stima per l’educazione ricevuta, anche se questa è costata fatica, sacrificio e qualche lacrima. Tutti ci dicono “Shukran”, ‘grazie’, la scuola ci ha fatto rinascere e amare la vita.
I Territori palestinesi, Betlemme in testa, vivono una grave crisi economica e sociale, dovuta non solo all’occupazione israeliana, ma da più di un anno anche alla pandemia. In che modo questa situazione pesa sul vostro Istituto?
La crisi economica, provocata dalla pandemia, ha sconvolto il mondo e ha messo in grosse difficoltà anche la nostra missione, in gran parte sostenuta dalla “Provvidenza” del Signore. Sono dei benefattori, come la Conferenza episcopale italiana con i fondi dell’8×1000, che sanno guardare oltre, spezzando il pane con chi è nel bisogno. Alle famiglie chiediamo una minima parte della retta scolastica: ce ne sono diverse che hanno anche più di un figlio sordo-muto. Vivono alla giornata e la maggioranza non ha assicurazione medica. Oltre alla retta devono affrontare la spesa, non indifferente, di acquisto auricolari, batterie e riparazioni, tutto a proprie spese.
Poco fa citava la pandemia: quali problemi vi ha creato il Covid-19?
Il primo grande lockdown, che ci ha sorpreso per la lunga durata, è stato molto difficile. Dopo la fine delle restrizioni abbiamo dovuto fronteggiare un’altra difficoltà: come dare lezione a distanza, online, ad alunni sordi. Si tratta di persone che hanno particolare bisogno di contatto fisico e di molta visibilità. Dovevamo pensarci, inventare delle strategie perché né il Ministero, né la Direzione didattica potevano aiutarci. La collaborazione dei genitori, in modo speciale delle mamme, è stata per noi un grande aiuto. Alcune madri sono state creative, abili anche a contagiare le altre. Così facendo, nella collaborazione e nell’incoraggiamento reciproco, i bambini sono usciti dal loro isolamento.
Come sono i rapporti con le Autorità palestinesi?
Il nostro lavoro è apprezzato e riconosciuto dalle Istituzioni palestinesi. La formazione e l’educazione offerte nel nostro Istituto seguono il programma ministeriale palestinese. Al tempo stesso il nostro corpo docente è impegnato a ricercare e utilizzare tecniche e sussidi innovativi adatti alla rieducazione delle persone sorde, facilitandone l’apprendimento e rendendo l’alunno autonomo il più possibile nella comunicazione e nella comprensione. Nonostante ciò dalle Istituzioni non riceviamo nessun sostegno.
Come garantire un futuro più solido al vostro Istituto?
Con la solidarietà e la generosità. Sostenere l’Istituto è un gesto ‘Provvidenziale’. Ancor più adesso con la pandemia. Ricevere aiuti ci permette di migliorare e di offrire il meglio all’alunno sordo-muto. Durante la pandemia, infatti, è mancata la dovuta continuità di educazione a causa delle restrizioni, delle chiusure e degli orari ridotti. A tale riguardo abbiamo intenzione di aumentare il numero dei logopedisti per sostenere chi è più debole, chi è rimasto indietro rispetto agli altri alunni a causa del Covid-19. Ne hanno urgente bisogno.
L’educazione e la formazione della persona migliorano la società e le famiglie.
Purtroppo stiamo facendo i conti con le pochissime forze che abbiamo.
Non è solo una questione di istruzione ma anche di inclusione sociale…
Ci facciamo guidare da quella umanità che Gesù mostrava sempre verso l’emarginato, il povero, il diseredato.
Vorremmo continuare il miracolo dell’integrazione e della tutela della dignità umana per garantire un futuro certo ai nostri alunni e alle loro famiglie con la consapevolezza che la sordità non è un ostacolo per una affermazione personale nella società.
Per questo chiediamo a tutti di contribuire alla nostra missione con generosità fattiva e preghiera.