L’atteggiamento di Gesù nei confronti della persona incontrata in terra pagana, che si caratterizza per il suo essere sorda e quindi anche muta, ci ricorda uno dei riti più antichi di cui si compone la liturgia battesimale, quello dell’Effatà: il presbitero tocca le orecchie e le labbra del battezzando augurandoli di poter ascoltare presto la Parola del Signore per poi annunciarla lungo il suo percorso di vita. Gesù, nel compiere questo gesto, guarda il cielo che è stato riaperto con la sua incarnazione, poiché ogni cosa è da Lui compiuta in comunione con il Padre. Dio così parla con l’uomo e quest’ultimo è in grado di comprendere chi è Lui, di entrare in relazione con l’Assoluto, di porre le sue parole all’interno del mondo, nelle relazioni umane, per edificare la civiltà dell’amore. L’uomo è strappato dalla sua solitudine e perché questo avvenga è chiamato alla relazione con il Cristo, in disparte: non è il chiasso del mondo, ma il rapporto con il cielo, la Parola che entra nel nostro cuore a sanare la nostra esistenza. Il dito di Dio, che creando ha toccato il mondo facendo bene ogni cosa, oggi tocca la nostra solitudine e ci ridona l’armonia; coloro che hanno assistito alla prodigiosa guarigione, riferendosi a Gesù, richiamano l’antico ritornello del libro della Genesi: ha fatto bene ogni cosa.
La nostra attenzione quest’oggi viene catturata anche dalla prima lettura tratta dal libro del profeta Isaia, dove siamo invitati a riprendere coraggio poiché giunge Dio e la sua vendetta. Un termine duro per noi oggi, ma basta continuare la lettura e poi porla in confronto con il brano del Vangelo e capiremo bene qual è l’azione che il Signore vuole realizzare: aprire gli occhi e le orecchie a ogni persona perché la Sua grazia è e deve essere per tutti, nessun uomo deve essere impedito nel poter osservare le opere di Dio e ascoltare la Sua parola per ricordare di essere immagine e somiglianza dell’Altissimo.