Settembre non è solo il mese della 78a Mostra del Cinema della Biennale di Venezia. Nella notte tra il 19 e il 20 settembre a Los Angeles verranno infatti assegnati gli Emmy Award, nel corso della 73a edizione dei cosiddetti Oscar della Tv. Il punto Cnvf-Sir di questa settimana è dedicato dunque ai migliori titoli della stagione in gara agli Emmy: il dramma storico sulla Royal Family britannica “The Crown 4” (24 nomination); la miniserie crime sulla periferia americana “Omicidio a Easttown” (16 nomination); la miniserie drammatica “La regina degli scacchi” (18 candidature); la commedia brillante sul mondo del calcio inglese “Ted Lasso” (20 nomination); la serie sulla terza età dall’umorismo folgorante e malinconico “Il metodo Kominsky” (6 candidature).
“The Crown. Stagione 4” (su Netflix)
“God Save the Queen… and Peter Morgan”. Lo abbiamo detto più volte, lode al geniale ideatore-produttore Peter Morgan che firma la serie “The Crown” targata Netflix, il racconto della famiglia reale sotto la corona di Elisabetta II. La quarta stagione, che abbraccia il decennio ’80 del Novecento, è forse la più bella in assoluto, per stile narrativo e per le pagine di storia raccontate. Sono gli anni infatti segnati dal governo della Lady di ferro Margaret Thatcher, del suo rapporto a corrente alternata con la regina Elisabetta II; a casa Windsor, poi, sono di scena le nozze da favola tra il principe Carlo e Diana Spencer… Una favola che in poco tempo deraglia su sentieri glaciali.
Morgan tiene sotto controllo la macchina narrativa, assicurando un’adesione alla storia ufficiale, meticolosa, senza rinunciare però a una riscrittura funzionale di alcuni passaggi per garantire pathos e ritmo; il risultato viaggia spedito su un binario narrativo che fa impallidire altre produzioni. A dare poi ancor più ancoraggio e compattezza al tutto, tra realismo e suggestioni ammalianti, è la qualità della messa in scena. Capitolo fondamentale del fenomeno “The Crown” è il cast, in testa Olivia Colman: lei è il primo violino, capace di trasmettere in maniera sorprendente tutta la complessità di Elisabetta II, cogliendone silenzi, sguardi, gesti, rielaborandoli però con la sua recitazione personale: non c’è imitazione, non c’è maschera, ma semplicemente adesione al personaggio. Insomma, una serie magistrale. Dal punto di vista pastorale “The Crown” è consigliabile, problematica e adatta per dibattiti.
“Omicidio a Easttown” (su Now-Sky)
La miniserie Hbo “Omicidio a Easttown” (“Mare of Easttown”) firmata da Brad Ingelsby è uno dei crime più belli e riusciti in circolazione, un racconto ad alta intensità drammatica che ricorda molto la britannica “Broadchurch” (2013-17). In “Omicidio a Easttown” non siamo in un suggestivo paesino sulla costa inglese bensì nella periferia americana, là dove non c’è più traccia del sogno e non rimane altro che l’amarezza, i lividi di una vita puntellata da affanni. In uno scenario così dolente troviamo la detective Mare Sheehan, una donna solida e animata da un forte senso di giustizia, segnata però da un’esistenza travagliata, con un matrimonio fallito e soprattutto con un implacabile senso di colpa per la morte del figlio ventenne. Spigolosa, sulla difensiva, Mare è disamorata nei confronti della vita, ma di certo non arresa.
Kate Winslet sorprende ancora una volta per incisività e versatilità mettendo a segno un ruolo di grande spessore: cesella con accuratezza e mestiere il personaggio di Mare, tratteggiando con convinzione la sua evoluzione dai toni più lividi ai pallidi bagliori della speranza, soprattutto in un finale marcato da sofferenza e riconciliazione. “Omicidio a Easttown” è una serie complessa, problematica, adatta a un solo pubblico adulto.
“La regina degli scacchi” (su Netflix)
Tra le rivelazione di casa Netflix nella stagione 2020-21 c’è la miniserie “La regina degli scacchi” (“The Queen’s Gambit”) ideata da Scott Frank e Allan Scott, dal romanzo di Walter Tevis. È il racconto di formazione della giovane orfana Beth Harmon (Anya Taylor-Joy) nell’America degli anni ’60, che supera i traumi del suo passato e le amarezze della vita grazie agli scacchi. Nonostante la ragazza spesso vacilli, cedendo a una vertigine di abusi di farmaci e alcolici per mettere a tacere le sofferenze patite, gli scacchi alla fine la rimettono puntualmente sul binario giusto, le offrono lo stimolo ad andare avanti e a cogliere persino i segnali di domani possibile. Partita dopo partita, caduta dopo caduta, Beth impara così a nuotare nel grande mare della vita, destreggiandosi tra fragilità e lampi di felicità.
Beth è un’eroina fragile, di sicuro imperfetta, capace però di trovare un posto nel mondo, anzi una posizione di primo piano nell’America del tempo, in un ambiente a forte trazione maschile, come quello degli scacchi. A ben vedere il personaggio di Beth si avvicina molto a quello di Esther “Esty” in “Unorthodox”, una giovane donna che percorre un cammino di liberazione e riscatto, passando dalla negazione di sé all’accettazione, dalla solitudine alla scoperta della tenerezza. La miniserie “La regina degli scacchi” è complessa, problematica e adatta per dibattiti.
“Ted Lasso” (su AppleTv+)
Da luglio 2021 su AppleTv+ sono disponibili gli episodi della seconda stagione di “Ted Lasso”, serie comica che nel 2020 è stata salutata con grande entusiasmo per stile e dinamiche di racconto: con puntate da 30 minuti, la serie ci mostra il mondo del calcio inglese attraverso lo sguardo di un allenatore americano abituato solo alla panchina da football a stelle e strisce. Un’opera che a ben vedere ci racconta, tra sorriso e sberleffo, lo scontro culturale tra Vecchio e Nuovo mondo…
Ideata e interpretata dal popolare attore statunitense Jason Sudeikis, proveniente dal laboratorio del “Saturday Night Live”, “Ted Lasso” è una serie brillante dalle non poche riflessioni di senso su dialogo interculturale, famiglia, amicizie, rapporto coach-giocatore, maestro-allievo. La narrazione possiede una carica ironica spumeggiante, a tratti irriverente, gestita sempre con grande padronanza e garbo da Sudeikis, che tratteggia il suo mister Lasso con finezza e candore. Tratto speciale di Ted Lasso è di certo l’entusiasmo, la sua granitica fiducia nel prossimo, nel domani. La serie è consigliabile, problematica e per dibattiti.
“Il metodo Kominsky” (su Netflix)
Ai 73i Emmy correrà anche la serie “Il metodo Kominsky” (“The Kominsky Method”) ideata da Chuck Lorre, in gara con la sua terza e ultima stagione. Forte del successo delle precedenti stagioni, segnate dal duo comico da Oscar Michael Douglas e Alan Arkin, il capitolo finale punta questa volta tutto sulla riunione di una coppia d’oro di Hollywood anni ’80: lo stesso Michael Douglas e Kathleen Turner (insieme nei cult: “All’inseguimento della pietra verde”, “Il gioiello del Nilo” e “La guerra dei Roses”).
Il racconto passa dunque dalle pagine iniziali di una coppia di amici (Douglas/Arkin), che condividono malanni, malinconie e vive speranze nella terza età, al sentiero percorso da due ex coniugi (Douglas/ Turner) che si ritrovano sul viale del tramonto. Un viale del tramonto che oscilla tra scena e vita vera, regalando tenerezza, sorrisi e diffusa commozione. “Il metodo Kominsky”, con i suoi episodi da 30 minuti, si discosta dalla comicità tipica e ripetitiva da sitcom, dove spesso situazioni o battute appaiono esili, vaporose; al contrario, la serie rivela profondità e tra le tante occasioni umoristiche si insinuano inoltre affondi drammatici e interessanti riflessioni sul senso della vita. “Il metodo Kominsky” è consigliabile, problematica e adatta per dibattiti.