Il 3 agosto un’ondata di esplosioni ha colpito la “Green zone” di Kabul, area fortificata e un tempo considerata sicura. “Obiettivo dell’attacco è stato il ministro della Difesa in carica, Bismillah Khan Mohammadi, non presente al momento dell’azione poi rivendicata dai talebani contro l’uomo che recentemente ha avviato il processo di riarmo delle milizie tribali e ha preso la guida della resistenza nazionale anti-talebana: la sua uccisione sarebbe stata fortemente simbolica, con effetti micidiali sul morale delle truppe impegnate a difesa delle capitali provinciali che da giorni i talebani tentano di strappare all’esercito e alla polizia”. A spiegarlo è Claudio Bertolotti, analista strategico dell’Istituto per gli studi di politica internazionale, sul sito dell’Ispi, dove analizza la situazione attuale dell’Afghanistan.
“L’attacco a Kabul coincide con i combattimenti che infuriano nelle periferie di tre grandi città nel sud e nell’ovest dell’Afghanistan: da una parte le forze di sicurezza afghane, ormai allo stremo, dall’altra parte i talebani, che ogni giorno contano centinaia di morti tra le loro fila – osserva Bertolotti -. Talebani che hanno di fatto conquistato metà del Paese, compresi i lucrosi valichi di frontiera con l’Iran e il Pakistan, ma che hanno mancato di conquistare anche un solo capoluogo di provincia”.
L’analista chiarisce: “Herat, Lashkar Gah e Kandahar non hanno vissuto un momento di pace nelle ultime settimane, in seguito all’assalto contemporaneo lanciato dai talebani che, distretto per distretto e casa per casa, tentano di avvicinarsi ai centri urbani”.
“Sebbene i talebani siano stati in grado di ottenere rapide conquiste in conseguenza del disimpegno militare statunitense avviato tra maggio e aprile, la resistenza e il contrasto dinamico messi in atto, in particolare dalle forze speciali afghane, supportate dall’esercito, dalla polizia e dalle milizie tribali fedeli ai vecchi mujaheddin, hanno certamente rallentato e temporaneamente contenuto l’ondata offensiva insurrezionale”, aggiunge l’esperto.
Ora, “il destino di Herat, Lashkar Gah e Kandahar, città chiave da un punto di vista territoriale ma anche sul piano simbolico, potrebbe essere cruciale per la tenuta dello stesso Stato aprendo a una crisi umanitaria che, da un lato, sarebbe caratterizzata dal proseguimento della carneficina tra le forze afghane, i ‘collaboratori’ e tutti coloro che sino a oggi si sono opposti al movimento fondamentalista, e, dall’altro lato, vedrebbe migliaia di persone tentare la fuga dalle aree a rischio di conquista talebana”.