L’espressione “Credo, aiuta la mia incredulità” (Mc 9,24), accompagnata dalla domanda “Quali parole per dire la fede oggi?”, è stata al centro del confronto tra William Jourdan, pastore valdese a Genova, e Lucia Vantini, da giugno presidente del Coordinamento teologhe italiane, nel corso della sessione di formazione ecumenica, promossa dal Sae al Monastero di Camaldoli. Jourdan ha sottolineato la dichiarazione di fede sincera e paradossale del padre del ragazzo posseduto da uno spirito muto: l’uomo ripone la sua fiducia in chi gli sta davanti e al tempo stesso sente dentro di sé una forza contraria che lo muove all’incredulità. Questo è lo spunto per la comunità cristiana ecumenica, ha detto il pastore, per riscoprire quali parole possano condurre oggi all’affermazione della fede con la stessa sincerità che caratterizza il protagonista di questo episodio evangelico. “All’esempio, come espressione del soggetto che afferma sé stesso, è posto accanto il criterio sovrano – e oggettivo – della verità di Dio. Verità che non è un concetto astratto ma nel Vangelo di Giovanni è lo stesso Gesù Cristo. È Lui l’unica parola di Dio, attestata nella Scrittura, che le nostre parole devono pronunciare e far risuonare”. Come? Rimandando a una storia e non a un’idea. Storia che è “un intreccio di relazioni, vita nella comunione di Cristo. Io mi trovo accolto nella Sua storia, perché Egli vive e muore per me e io risorgo con lui. Dire la fede significa quindi prima di tutto invitare a scoprire questo spazio di comunione con Cristo: è all’interno di questo spazio – tracciato dal dialogo che lo precede – che il padre del ragazzo malato pronuncia la propria confessione di fede”. Secondo il relatore, il compito principale delle Chiese è quello di essere testimoni della storia di Dio che prende forma nel nome di Cristo e riorienta radicalmente la vita dell’essere umano.