Ecumenismo: fr. Biemmi (catecheta), il racconto su Gesù deve intrecciare “la storia narrata, quella di chi ascolta, quella del narratore”

Prosegue la sessione di formazione ecumenica del Sae al Monastero di Camaldoli. La modalità della narrazione, fondamentale nella trasmissione delle parole della fede sia nell’ebraismo che nei Vangeli, è stata oggetto dell’incontro con fratel Enzo Biemmi, della Congregazione dei Fratelli della Sacra Famiglia, e la pastora metodista Ulrike Jourdan, direttrice della rivista “La scuola domenicale”. Biemmi ha rievocato il ricordo della zia Maria che in una corte padana gli raccontava le storie di Giuseppe e dei suoi fratelli, un racconto che trasmetteva “quello che oggi chiamiamo speranza: la vita può essere affrontata con fiducia perché è custodita dalla paternità di Dio”. Accanto a questa narrazione verbale, il bambino Enzo beneficiava di “racconti viventi” costituiti da adulti testimoni e da un ambiente vitale “iniziatico”. Come catecheta, Biemmi ha definito la fede cristiana come una storia, la storia di una relazione, un’alleanza che nel Primo Testamento Dio stringe con il suo popolo. Non si tratta di un evento del passato ma di “una relazione in corso, una storia aperta. Tutto in Cristo è stato donato, ma tutto è ancora aperto alla sorpresa, fino al suo ritorno”. Se è un Dio delle sorprese è una storia sempre da raccontare, al cui centro sta la bella notizia dell’amore di Dio e del fatto che “gli esseri umani non sono esseri viventi votati alla morte ma esseri mortali destinati alla vita”. Per essere vero, per attivare una vera comunicazione, il racconto su Gesù deve intrecciare tre storie: “La storia narrata, quella di chi ascolta, quella del narratore”. Per raccontare Gesù e i suoi seguaci “devo conoscere la storia della persona a cui mi rivolgo, entrare nel suo contesto, e raccontare come la vita di Gesù ha toccato la mia e mi ha salvato”. Citando il teologo Christoph Theobald, Biemmi ha affermato che dai racconti scaturiscono tutti gli altri linguaggi: i riti, le confessioni di fede, i dogmi, la morale, la riflessione teologica. Senza racconto essi perdono vitalità o scadono nel moralismo. Il racconto resta il linguaggio fondativo della vita cristiana il cui punto di arrivo è la dossologia, la lode, “non c’è linguaggio più alto”.

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