“La situazione si è normalizzata. Le persone sono tornate alle loro occupazioni. Il Presidente della Repubblica ha chiesto alle amministrazioni pubbliche di chiudere per due giorni. Ma nel paese, la situazione è normale. Ci sono ancora qua e là piccoli assembramenti ma si tratta di poche persone”. A fare al Sir il punto della situazione direttamente dalla Tunisia è padre Léonce Zinzéré, vicario generale dell’arcidiocesi cattolica di Tunisi, dopo che il Presidente della Repubblica, Kaïs Saïed, con una mossa a sorpresa annunciata in un intervento alla tv di Stato, ha deciso di assumere il potere esecutivo con l’aiuto di un capo di governo che nominerà lui stesso. Per il partito islamico di opposizione Ennahda si tratta di un colpo di Stato e domenica centinaia di manifestanti sono scesi per strada per manifestare. “Non parlerei di colpo di Stato”, osserva padre Zinzéré. “Sono andato in giro per la città qui di Tunisi e non ho visto militari per strada. Ho visto polizia davanti all’ambasciata di Francia, ma questa presenza è del tutto normale. Credo che la decisione presa dal Presidente punti a migliorare le condizioni di vita nel Paese”.
Quale il rischio più pericoloso che corre la Tunisia?
Nessuno può prevedere il futuro. Abbiamo l‘impressione che la grande maggioranza dei tunisini sono d’accordo con le decisioni del Presidente. Lo si capisce parlando con gli amici, con la gente per strada. C’è anche chi dice che queste decisioni non sono conformi con la Costituzione ma non spetta a noi giudicare. Quello che possiamo dire è che le condizioni di vita stanno diventando di giorno in giorno sempre più difficili, con la povertà che aumenta e i prezzi in rialzo. La gente si aspetta un gesto che possa favorire una ripresa. Non importa a questo punto da chi può arrivare questo gesto, basta che arrivi.
Lei parlava di povertà. Qual è attualmente la situazione economica del Paese?
La pandemia non ha fatto che aggravare una situazione economica che era già difficile. Le persone vivono sempre più poveramente. Nei mercati, i prezzi sono duplicati. C’è un modo di dire qui: ‘tutto aumenta, tranne i salari e tutto si abbassa, tranne i prezzi’. Le condizioni di vita non sono facili. Lo si vede a Tunisi ma è ancora più vero all’interno del Paese. Con la pandemia poi la crisi si è aggravata: molte persone hanno perso il lavoro. C’è chi è pagato la metà di quanto prendeva prima. Occorre con urgenza che le condizioni economiche migliorino.
E i giovani? Sono aumentati anche i ragazzi che decidono di lasciare il paese. E’ un segnale che preoccupa?
Certo, il Presidente della Repubblica parla molto della questione giovanile. Ne parlano anche i partiti politici. Ci sono molti giovani, soprattutto quelli diplomati e laureati, che manifestano davanti ai ministeri per protestare contro la mancanza di lavoro. Tutti sono preoccupati ma che cosa si fa concretamente per loro? Questa è la questione ma la domanda rimane aperta. Credo che i giovani si aspettino molto dai dirigenti di questo Paese.
Quali sono le attese di questo popolo? E cosa auspica la piccola Chiesa di Tunisia per questo Paese?
Noi siamo qui soprattutto come sostegno morale. Ho molti amici tunisini con i quali condividiamo stralci di vita quotidiana. Come sapete, qui la Chiesa è povera e non ha molti mezzi materiali. Siamo una Chiesa piccola, composta soprattutto da stranieri. Quello che possiamo fare è aiutare le persone a non perdere la speranza nel futuro. La Caritas sta facendo molto: gli aiuti sono rivolti soprattutto all’acquisto di alimenti e medicine. La Cei ha finanziato progetti. Possiamo dire che se la Caritas tunisina funziona, è solo grazie agli aiuti della Cei. Di questo siamo molto grati alla Chiesa italiana. Dai dirigenti di questo Paese, il popolo si aspetta che siano in grado di cambiare l’avvenire della Tunisia. Quello che concretamente la Chiesa può fare in questo momento, è aiutare la Tunisia a non spegnere mai la luce della speranza nel futuro.