Migranti: mons. Lorefice (Palermo), “le morti in mare sono ferite che oggi bruciano. Diventare ‘pescatori di uomini’ per fermare la ‘sclerocardia'”

“Dall’alto della montagna, dall’alto di Monte Pellegrino, si vedono orizzonti alti. È il bello delle isole: orizzonti più vasti e più lontani. Dall’alto della montagna, dall’alto di Monte Pellegrino, si vede il mare. E guardando il mare si vedono tante barche. Sono le imbarcazioni dei migranti, che navigano trasportando chi fugge dalla fame, dal dolore, dalla guerra, che vengono respinte, che affondano”. Lo ha ricordato, ieri sera, mons. Corrado Lorefice, arcivescovo di Palermo, nel discorso alla città, pronunciato in occasione del Festino di Santa Rosalia, sul sagrato della cattedrale. “Come dall’alto, minuscoli, si vedono i corpi galleggianti senza vita. Si vede questo nostro Mediterraneo diventato il cimitero dei fratelli e delle sorelle reietti – ha sottolineato il presule -. Non possiamo più dire, con il poeta, che ‘nel cuore nessuna croce manca’ (G. Ungaretti) perché le croci trovano nel cuore il grembo umano che è il diritto di ogni corpo. Le morti di chi viene abbandonato in mare no! Sono morti senza grembo, senza cuori accoglienti, sono morti che si consumano in un silenzio disumano, in una indifferenza senza pari”. Secondo l’arcivescovo, “le morti in mare – così come le morti di chi è rimasto da solo negli ospedali – sono le ferite che oggi bruciano e violentano la condizione umana. Non è possibile continuare così! Questo mondo diviso, questo mondo dei ricchi e dei potenti che si difendono dai poveri e dai deboli, non ha futuro!”. Per fortuna, ha aggiunto, che “guardando il mare si vedono anche le navi dei ‘pescatori di uomini’. E mai come oggi diventare ‘pescatori di uomini’ è la missione urgente, indispensabile per restare umani. Perché non avanzi anche un’altra pandemia: la ‘sclerocardia’!”.

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