204 distretti controllati dai talebani; 210 quelli contestati; 70 i distretti controllati dal governo (erano 115). In due mesi il governo afghano ha perso il controllo effettivo del 30% del territorio, mentre i talebani hanno triplicano quello da loro occupato, ottenendo il controllo effettivo del 50% del paese; percentuale che sale all’85% considerando anche le aree contestate dove il governo afghano non è in grado di garantire la sicurezza ai cittadini. È questa la situazione al 12 luglio in Afghanistan dove, dopo il ritiro delle truppe Usa, i talebani avanzano convergendo su Kabul e le altre principali città – Kandahar, Mazar-i Sharif, Kunduz. A tracciare il quadro del Paese asiatico è oggi Claudio Bertolotti, uno dei massimi esperti di questioni afghane. Sul sito dell’Ispi (www.ispionline.it), di cui è associate research fellow, Bertolotti parla di rischio concreto di guerra civile che vedrebbe da un lato i talebani e dall’altro le forze regolari afghane supportate da milizie o forze di sicurezza locali (Arbakai). Dalla città di Herat, lasciata due settimane fa dal contingente italiano, spiega Bertolotti, e posta sotto assedio dai talebani, “potrebbe partire la guerra civile”. A garantire, infatti la sicurezza del perimetro urbano della città sono rimaste alcune unità delle forze di sicurezza nazionali a cui si sono uniti i combattenti fedeli al potente ex-comandante mujaheddin Ismail Khan che ha annunciato l’avvio della resistenza armata contro i talebani. Per Bertolotti “È la chiamata alle armi, rilanciata anche da altri importanti ex-mujaheddin, che sancisce l’inevitabile avvio della guerra civile”. “A fronte dell’effettivo ritiro straniero e in previsione del collasso dello stato afghano – afferma l’esperto – Ismail Khan ha pubblicamente mobilitato tutte le forze disponibili a lui fedeli al fine di contrastare l’avanzata talebana”. Si tratta del Mujaheddin Council, di fatto un comando militare di livello tattico da cui dipenderebbero trenta/quaranta unità, forti di alcune migliaia di combattenti. Ma il fronte armato anti-talebano non si esaurisce con Ismail Khan. Altri potenti signori della guerra come Ahmad Zia Massoud e Atta Mohammed Noor “hanno chiamato alla mobilitazione nazionale gli ex-mujaheddin per combattere i talebani e invitando tutte le fazioni del nord a stare al fianco delle forze statali”. Azioni che, sottolinea Bertolotti, “seguono l’appello dello stesso presidente Ashraf Ghani che ha approvato l’improvvisa chiamata alle armi degli ex-mujaheddin, nella speranza di arginare l’assalto dei talebani e placare l’ondata di panico collettiva. Il nuovo ministro della Difesa, Bismillah Khan Mohammadi, ha dato il via alla “distribuzione di armi, equipaggiamenti e risorse finanziarie a favore delle milizie, come confermato dalla numerosa presenza di mujaheddin al fianco dell’esercito nazionale in molte province del nord e fedeli ai leader locali della minoranza tagika, uzbeka o di altri gruppi etnici che non amano Ghani”. “Fare affidamento sulle milizie – aggiunge l’esperto – è un azzardo molto pericoloso che potrebbe dare sollievo a Ghani nel breve termine, ma che alla fine porterà alla fine della sua amministrazione. La più grande preoccupazione è che queste milizie possano concorrere alla destabilizzazione locale e all’indebolimento della legittimità di governo, ma ancor più ad acutizzare le già profonde linee di demarcazione tribali, etniche e di fazione”. In tale contesto, conclude, “è possibile prevedere una repentina frammentazione delle forze di sicurezza afghane con il passaggio dei suoi membri tra le fila delle milizie private, da una parte, e dei talebani, dall’altra, sulla base dell’appartenenza etnica: una tale ipotesi aprirebbe a una nuova fase di guerra civile afghana che verrebbe alimentata dall’amplificazione dei conflitti locali, coinvolti e proiettati in un più ampio e ancor più pericoloso conflitto regionale. Uno scenario molto probabile e molto vicino”.