Il cinema spettacolare hollywoodiano torna in cerca di incassi forti al botteghino con “Black Widow”, nelle sale italiane dal 7 luglio. Prodotto da Marvel Studios-Disney, “Black Widow” si concentra sul passato dell’Avenger Vedova Nera, ossia Natasha Romanoff. Uno spin-off ad alto tasso di adrenalina puntellato da lampi di umorismo che si muove su un binario tutto al femminile, dalla regia di Cate Shortland alle protagoniste Scarlett Johansson e Florence Pugh. E sempre al cinema c’è il ritorno del regista Roan Johnson che dopo la commedia “Piuma” (2016) vira sull’umorismo grottesco a tinte fosche con “State a casa”, ritratto di quattro ventenni in tempo di pandemia. Tra le novità in piattaforma gran finale su Now-Sky per la miniserie crime “Omicidio a Easttown” (“Mare of Easttown”), un “Broadchurch” dislocato nella periferia americana che conquista per scrittura e l’interpretazione del premio Oscar Kate Winslet. Il punto settimanale Cnvf-Sir.
“Black Widow”
Dopo lo stop imposto dalla pandemia, esce finalmente nei cinema “Black Widow”, produzione ad alto budget targata Marvel Studios che si concentra sul personaggio di Vedova Nera interpretato da Scarlett Johansson e presente già in una decina di titoli: da “Iron Man 2” (2010) a “Captain America. The Winter Soldier” (2014) fino ai quatto capitoli dedicati agli “Avengers”. A livello narrativo “Black Widow” si posiziona temporalmente prima degli ultimi episodi “Infinity War” (2018) e “Endgame” (2019).
Il film offre inizialmente uno spaccato sull’infanzia di Natasha Romanoff, sottolineando il legame con la sorella Yelena (Florence Pugh) e con i genitori adottivi Alexei (David Harbour) e Melina (Rachel Weisz), richiamando anche l’addestramento nella Stanza Rossa. Nello specifico la storia si concentra nella stagione in cui Natasha si prende una pausa dagli Avengers per ritiratasi nei boschi norvegesi; quando riceve la richiesta di soccorso della sorella Yelena, intenzionata a sottrarsi alla morsa di Dreykov (Ray Winstone), spietato capo della Stanza Rossa, Natasha abbandona il suo rifugio per eliminare una volta per tutte l’uomo che le ha rovinato l’esistenza, e che costituisce una minaccia anche per molte altre donne nonché per l’intero pianeta.
Diretto dalla regista Cate Shortland e con Scarlett Johansson anche in veste di produttrice, “Black Widow” è un film pienamente in stile Marvel: ricorrono azione, inseguimenti e combattimenti spettacolari, location suggestive sparse per il mondo, come pure un sapiente dosaggio tanto di raccordi drammatici, tesi a imprimere pathos alla vicenda – la solitudine e le responsabilità dell’eroe –, quanto di lampi di ilarità, situazioni comiche pensate per agganciare un pubblico giovane. Buone le intuizioni narrative, ma non sempre la linea del racconto appare compatta o del tutto credibile. A funzionare, come sempre in tutti gli all star Marvel, sono le interpretazioni. Dopo dieci anni Scarlett Johansson veste il ruolo di Vedova Nera con disinvoltura e intensità, cercando di conferirle in quest’ultimo ritratto una maggiore sfaccettatura; sorprende poi piacevolmente Florence Pugh (“Lady Macbeth”, “Piccole donne”) che condivide con carattere la scena. Efficaci, ma non del tutto al loro meglio, anche il premio Oscar Rachel Weisz e la star di “Stranger Things” David Harbour. Nell’insieme “Black Widow” è un film godibile, brillante, anche se un po’ fracassone, con qualche suggestione qua e là interessante. Dal punto di vista pastorale è consigliabile, problematico.
“State a casa”
Sorprende sempre il regista-sceneggiatore pisano Roan Johnson, tanto con le sue commedie frizzanti che offrono uno sguardo spensierato e nel contempo malinconico sui giovani di oggi come “Fino a qui tutto bene” (2014) e “Piuma” (2016), quanto con i suoi adattamenti Tv di opere letterarie come la saga “I delitti del BarLume” (dal 2015 su Sky) o i romanzi storici di Andrea Camilleri “La stagione della caccia” (2018) e “La concessione del telefono” (2020). Dopo cinque anni l’autore torna al cinema con “State a casa”, ambientato tutto in un appartamento nel corso della pandemia. Una storia che prende le mosse proprio dal clima tempestoso da Covid-19, dal confinamento forzato in uno stesso ambiente domestico di quattro amici neanche trentenni: Paolo (Dario Aita), Benedetta (Giordana Faggiano), Nicola (Lorenzo Frediani) e Sabra (Martina Sammarco). Rimasti al verde e incalzati dalle preoccupazioni, provano a chiedere uno sconto sull’affitto al sig. Spatola (Tommaso Ragno), uomo rigido e spregiudicato propenso più al ricatto che alla conciliazione…
“State a casa” parte sulle note della commedia in continuità con i precedenti lavori di Johnson, con un richiamo proprio a “Fino a qui tutto bene”, per poi smarrire la carica umoristica a favore di uno sguardo sociale nero e inquietante. Sollecitati dal pericolo del Covid, i quattro ragazzi finiscono per sbandare in situazioni deraglianti che li portano sino al punto di non ritorno. Un progetto curioso, di certo audace, che per certi versi si ricollega anche allo sguardo da favola feroce messo in campo da Niccolò Ammaniti con “Anna” (2021). Qui in “State a casa”, però, non c’è favola che si tinge di nero, ma il racconto deflagra in una suggestione grottesca e pessimistica sull’uomo, sui giovani adulti di oggi, che implodono in un mondo che appare respingente, che frantuma sogni e ambizioni. Se è ben riconoscibile lo stile di regia di Johnson, ironico e irreverente, il racconto non sembra convincere del tutto avvitandosi in una vertigine claustrofobica e disperante. “State a casa” è un film complesso, problematico, adatto a un pubblico adulto capace di gestire temi e linguaggio in campo.
“Omicidio a Easttown”
Conquista, e non poco, la miniserie Hbo “Omicidio a Easttown” (“Mare of Easttown”), da giugno in programmazione su Sky e Now, con un finale di stagione mozzafiato andato in onda il 30 giugno. La miniserie crime, 7 episodi in tutto, ricorda molto la britannica “Broadchurch” (2013-17, 3 stagioni), uno dei punti di riferimento del poliziesco nell’ultimo decennio, interpretata dal premio Oscar Olivia Colman.
In “Omicidio a Easttown” però non siamo in un suggestivo paesino sulla costa inglese, bensì nella periferia americana, dove è tramontato il sogno e non rimane altro che l’amarezza, i lividi di una vita costellata di affanni e sofferenze. In uno scenario così dolente si muove la detective Mare Sheehan, che percorre ogni giorno le strade di Easttown con sguardo vigile e senso di protezione. Non è una figura eroica, senza macchia, al contrario: Mare è una donna dalla vita in frantumi, con un matrimonio fallito e soprattutto con un implacabile senso di colpa per la morte del figlio ventenne. È spigolosa, sempre sulla difensiva, disamorata nei confronti della vita, ma di certo mossa da un grande senso di giustizia: Mare è una brava poliziotta, che non arretra mai nella ricerca della verità.
L’attrice premio Oscar Kate Winslet, che torna in un ruolo televisivo a dieci anni da “Mildred Pierce” (2011), incanta per la sua incisività, per il suo tratteggiare il personaggio di Mare in maniera così accurata e complessa, governando con mestiere l’evoluzione del personaggio dai toni più lividi ai pallidi bagliori della speranza, soprattutto in un finale tutto giocato tra sorpresa, sconcerto e riconciliazione. Poetica l’ultima potente inquadratura. “Omicidio a Easttown” firmata da Brad Ingelsby si rivela senza dubbio una scommessa vinta, un racconto serrato, dalla scrittura puntuale e rigorosa; un prodotto ben superiore all’acclamato “The Undoing” sempre targato Hbo, che ha stregato gli spettatori a inizio 2021. “Omicidio a Easttown” è una serie complessa, problematica, adatta a un solo pubblico adulto.