(da New York) – Sono dieci le famiglie della parrocchia di Saint Joseph, a Surfside, un sobborgo a nord di Miami Beach di cui non si ha notizia dal 24 giugno. Le loro vite sono state seppellite nel crollo parziale del condominio delle Champlain Towers South, che ora nelle sue viscere, custodisce ancora i corpi di 145 dispersi. Sono 18, invece, le vittime ritrovate in mezzo ai detriti, da soccorritori eroici arrivati anche da Israele e dal Messico. Mercoledì sono stati recuperati i corpi di due bambini. Giorni fa, il timore era di non trovare vivo nessun disperso, oggi la devastante realtà è che nessun corpo possa essere recuperato. Padre Juan Sosa è il parroco di Saint Joseph, la più vicina a quello che è stato definito il Ground Zero di Miami. I resti della torre crollata e di quella ancora rimasta in piedi sono facilmente visibili dal cortile della chiesa. Il sacerdote, che cura la parrocchia da 11 anni, ha aperto il parcheggio per ospitare i mezzi e le squadre di soccorso e ricerca, oltre alle decine di volontari accorse sul sito crollato e a chi con acqua e cibo ha cercato di offrire un sollievo. I primi giorni a seguito del crollo, sono stati una spola continua tra la chiesa e il centro di ricongiungimento familiare, dove i parenti attendono ancora, se non dei vivi, almeno dei morti da onorare con un funerale e una cerimonia. Surfside è una località popolare per il vivace mix di sudamericani, ebrei ortodossi, russi e turisti da ogni dove. Potrebbero esserci molti di loro nel relitto di grattacielo, le cui immagini hanno fatto il giro del mondo. I soccorritori sono comunque riusciti a salvarne 31, nelle prime ore. Questi sono i luoghi dei perché, di domande che non hanno risposte sufficienti a spiegare l’immane tragedia di questo grattacielo, già fatiscente e che più volte era stato segnalato come a rischio.
“Per questa ‘esperienza’ non esiste una formazione specifica in seminario, non è prevista nessuna materia nel piano di studi. Le vite perse per malattia o incidente, o anche per violenza, ci pongono certamente sfide, ma come si affronta la situazione di un gruppo di fedeli che risiede in un edificio che crolla improvvisamente nel cuore della notte?”. Sono le domande che il sacerdote si pone sulle pagine del bollettino della diocesi di Miami. E’ un diario di questi giorni tragici, dove padre Sosa continua a correre e confortare, mentre passa davanti a quel muro, trasformato in memoriale, allestito a due isolati dalla chiesa, dove ogni giorno si aggiungono foto su foto, messaggi, fiori per nutrire la speranza e alleviare la pena.
“Soprattutto di notte, ti svegli e desideri ardentemente di sentire le voci di coloro che sono intrappolati: gli sposi che partecipano alla Messa e sostengono i progetti parrocchiali, i bambini che hanno ricevuto la prima Comunione dalle mie mani, le coppie che si sono scambiate i loro voti nuziali davanti a me, gli anziani che hanno trovato conforto in uno che cerca di farsi compagno”, racconta il sacerdote.
Anche lui straziato tra gli straziati, eppure ingaggiato a sottolineare la solidarietà della comunità. Dai primi soccorritori, agli esperti, a chi ha aperto la propria casa per offrire riparo a chi da quella notte non ha un tetto, ai politici che hanno smesso di correre dietro alle ideologie politiche per mostrarsi prossimi, ai giovani che attraverso i social media stanno diffondendo gli inediti atti di eroismo quotidiano. “Dio è all’opera al di là di un dilemma così tragico” insiste padre Sosa, che all’ingresso della parrocchia ha lasciato una scatola dove tutti possono scrivere un bigliettino, chiedendo una preghiera, una messa, un aiuto materiale.
Ieri il sindaco, Daniella Levine Cava, ha sospeso le ricerche per problemi di sicurezza rilevati nella parte dell’edificio rimasta in piedi, che rischia a sua volta di crollare seppellendo i soccorritori.
“Ho lavorato in mezzo a tanti uragani, ma non ho mai visto niente del genere: vedi solo tristezza sul viso di tutti ed è straziante”, ha detto Jackie Carrion di Catholic Charities, che ha preparato alloggi temporanei e beni materiali per assistere gli sfollati.
Il presidente americano Joe Biden e la first lady Jill, ieri hanno visitato la cittadina, incontrandosi con i politici locali e con il governatore repubblicano DeSantis, assicurando che il governo nazionale contribuirà interamente alle spese di soccorso di questa prima settimana e ha apprezzato il messaggio di unità che arriva alla gente, vedendo che amministratori di diversi partiti collaborano per il bene della comunità. Biden ha trascorso tre ore con i familiari delle vittime e dei dispersi, ascoltando e consolando tutti: cristiani, ebrei, americani e stranieri. “Sanno che le possibilità di ritrovarli vivi diminuiscono ogni giorno che passa, ma come minimo, come minimo, vogliono recuperare i corpi”, ha detto Biden ai giornalisti, commosso a più riprese ripensando all’angoscia dell’attesa, da lui stesso sperimentata durante l’incidente mortale della prima moglie e della figlia. “La speranza è l’ultima a morire”, ha concluso il presidente, più volte chiamato per la sua empatia con chi soffre “consoler-in-chief, consolatore capo”.