“Siamo chiamati qui e oggi a ricostruire segni di speranza, là dove è stata abbandonata. Torino non era solo la città dell’automobile, ma era anche la città del lavoro. Questa lunga trasformazione, ancora incompiuta, sta minando l’identità sociale ed economica del nostro territorio. Facciamo ‘sistema’, affinché Torino possa ripartire dalle sue origini e tradizioni, avendo lo sguardo rivolto verso il futuro. Torino deve tornare a correre e deve farlo insieme a tutti, senza produrre quella ‘cultura dello scarto’, di cui Papa Francesco ci ha spesso parlato”. Lo ha affermato questa mattina l’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, nell’omelia pronunciata in cattedrale per la festa patronale di San Giovanni Battista.
“Abbiamo scoperto, amaramente, che tante volte le difficoltà ci hanno diviso, hanno creato differenze ancor più profonde tra ricchi e poveri, giovani e anziani, centro e periferia. Abbiamo visto da vicino – ha osservato l’arcivescovo – quanto vale il bene della salute, quando tanti di noi l’hanno perduto, perdendo la stessa vita. Ma abbiamo vissuto, anche, una stagione intensa di solidarietà. Abbiamo riscoperto la gioia di essere attenti gli uni agli altri. Abbiamo capito, insieme, che se non ci sosteniamo a vicenda, corriamo tutti il rischio di precipitare”. “Sapremo far tesoro di questa lezione?”, ha domandato Nosiglia. “Da undici anni vivo l’onore e la gioia di essere con voi, a Torino, nel giorno della festa del patrono”, ha proseguito l’arcivescovo, sottolineando che “il mio cammino con voi, in mezzo a voi, ha voluto essere quello di un padre e di un amico – per come ho potuto, con tutte le forze che avevo. Quello del vescovo non è un mestiere e non è neanche una vocazione”. “Ho sempre ritenuto che il mio primo compito sia quello di illuminare questa vita comune, di far vedere la presenza del Signore in mezzo a noi”, ha spiegato Nosiglia che ha voluto rivolgere alcune richieste alle diverse componenti. Ai giovani e alle famiglie ha chiesto di “non avere paura del presente né del futuro”, agli anziani di “non essere gelosi del patrimonio di esperienza e saggezza che avete maturato”. A immigrati e profughi di “non scoraggiarvi anche di fronte a un’accoglienza a volte sospettosa”, ai lavoratori di “non rassegnarvi ma di unire le forze ed essere coraggiosi e determinati, perché la giustizia trionfi su tante promesse che restano spesso inevase”. Ad imprenditori, amministratori pubblici e rappresentanti del popolo l’invito a “non tradire mai la vostra missione” avendo “l’orizzonte del bene comune”. In fine, a preti e diaconi, religiose e religiosi, consacrati e laici “chiedo di rimanere fedeli alla vocazione cui siamo stati chiamati”. “Non possiamo permetterci – ha ammonito – di essere senza memoria; non possiamo illuderci che la nostra vita si gioca soltanto nel futuro, sulle cose che vorremmo costruire. Il nostro presente è saldamente ancorato nella nostra storia. Ecco perché non possiamo pensare e vivere la città, che è di tutti, come un arcipelago di isole separate”.