La campagna di vaccinazioni anti-Covid in Africa prosegue a singhiozzo e risente pesantemente della carenza di scorte. A rischio sono le seconde dosi del farmaco: il continente africano registra ad oggi 4,8 milioni di casi di Covid e 130mila decessi accertati. Ma il vaccino è stato somministrato soltanto a 31 milioni di persone (prima dose) su una popolazione di 1,4 miliardi. Il processo si è bloccato al primo step: solo 7 milioni di africani hanno ricevuto anche la seconda dose.
Il Marocco è in cima alla lista di quelli che hanno somministrato più vaccini con 10 milioni di dosi iniettate, ma con un grosso scarto tra la prima e la seconda. Seguono Nigeria (oltre 964mila), Ghana (quasi 600mila) e Kenya (340mila), come confermano i dati di Amref. Numeri comunque irrisori rispetto alle popolazioni nazionali. Il problema dunque resta: mancano all’appello 1,5 miliardi di dosi di vaccino in Africa. L’Oms dice che c’è bisogno di almeno 20 milioni di dosi di AstraZeneca, affinché si possa completare l’iter.
Dopo lo stop del Serum Institute indiano (inserito in ambito Covax), costretto a bloccare gli invii di AstraZeneca per provvedere al fabbisogno interno, la campagna di vaccinazioni africana si è come “inceppata”. Tanto che adesso in Kenya e in Ghana l’intervallo tra la prima e la seconda dose è stato portato a 12 settimane (dalle otto iniziali), pur di prendere tempo nell’attesa di nuovi sieri.
La situazione in Sudafrica. Il continente così rischia di tornare al punto di partenza: il mese di marzo scorso ha avuto inizio la vaccinazione in ambito Covax, meccanismo di redistribuzione equa dei vaccini, ma il programma mondiale va molto a rilento, favorendo nuove ondate di contagi. “Qui a Johannesburg e anche a Durban, si parla oramai di terza ondata del virus: nell’ultimo mese i casi di contagio sono triplicati – racconta al telefono dal Sudafrica, padre Efrem Tresoldi, missionario comboniano –; dal 31 maggio ad oggi abbiamo assistito ad oltre 35mila nuovi casi. Si è di nuovo in ‘zona gialla’ in tutto il Sudafrica, dopo essere passati per la zona bianca”. In Sudafrica, dove i morti sono stati circa 57mila (ma il numero sarebbe da triplicare), il virus è mutato e si è rafforzato “grazie” alle varianti. Quella sudafricana e indiana sono le più imprevedibili. “La paura da noi è tornata, tenuto conto del fatto che si peggiorerà ancora, poiché l’inverno è appena cominciato – spiega Tresoldi –. Nelle township la gente non ha spazio, sono case troppo piccole per garantire il distanziamento”.
L’eccezione-Senegal. In direzione opposta va invece a sorpresa il Senegal (ma è una vera eccezione), tra gli Stati africani più avanzati sul versante vaccinale. E anche su quello dell’idoneità a produrre un vaccino in proprio. Dakar ha firmato un accordo con il gruppo biotech belga, Univercells, per produrre in laboratorio un proprio siero a partire dal prossimo anno. “In Senegal la vaccinazione prosegue in modo tutto sommato spedito – afferma suor Grazia Anna Morelli, della Congregazione Marista –. Stiamo ricevendo la prima e la seconda dose di SinoFarm, il vaccino cinese e di Astrazeneca. Il governo ha riaperto un po’ tutto, fin da subito, ma la Chiesa è stata molto più prudente. Noi suore e i sacerdoti, ancora circoliamo con le mascherine e le funzioni religiose sono riprese da poco”.
Il Senegal è all’avanguardia anche nella cura:
“su 43mila casi, circa 40mila sono guariti grazie a cocktail di antibiotici e clorochina”, conferma la suora. La clorochina è un farmaco antimalarico che sembra avere effetti di guarigione sui casi meno gravi di Covid-19.
Vaccini e brevetti. Ma la grande incognita africana resta quella della rimozione del copyright sui brevetti. A pesare è la “protezione” che gli europei hanno accordato alle big pharma mondiali e che il Global Health Summit del 21 maggio scorso ha confermato. “Il Sudafrica non si arrende e prosegue il suo lavoro di lobby a livello internazionale per chiedere la rimozione dei copyright – spiega padre Efrem –. Il presidente Ramaphosa ha incontrato Macron, il quale appoggia la proposta di abolizione. È importante che i vaccini siano resi disponibili il più possibile e a prezzi accessibili a tutti”. Johannesburg in questo è ben corazzata: circa 20 anni fa il Sudafrica forzò la mano con i farmaci per l’Aids, “quando non si potevano avere gli antiretrovirali e il Paese decise autonomamente di produrre i generici, al di là del copyright”, ricorda Tresoldi. Oggi la battaglia per l’abolizione dei brevetti diventa sempre più “una battaglia di civiltà”, confermano i due missionari. Ma c’è anche un’altra incognita: quella della paura della gente per il vaccino che viene dall’estero; paura che rischia di compromettere un risultato già molto precario. Come era avvenuto per l’Ebola in Congo, si parla di “complotto dell’Occidente”.
Madagascar e Tanzania. L’Africa Center for Strategic Studies invita a “sfatare i miti sul vaccino in Africa”: il primo è che il Covid non esiste, l’ultimo è che aggredisce solo i bianchi e non i neri, e che i rimedi tradizionali funzionano meglio dei sieri farmaceutici. In questo senso gli esempi non mancano.
Il Madagascar ha intrapreso la strada della cura alternativa:
il presidente malgascio Andry Rajoelina ha abbandonato la via dei vaccini e percorre quella dei rimedi alle erbe senza ricevere però, come prevedibile, il plauso dell’Oms. In Tanzania dopo la morte per Covid del presidente negazionista John Magufuli, deceduto a marzo scorso, si è finalmente tornati sulla strada della prevenzione e della cura.
(*) redazione “Popoli e Missione”