La Corte europea dei diritti dell’uomo ha dato ragione alle autorità islandesi che non hanno riconosciuto a una coppia di sue cittadine, Valdís Glódís Fjölnisdóttir ed Eydís Rós Glódís Agnarsdóttir, la genitorialità su un bambino nato con la maternità surrogata, e senza alcun legame genetico con la coppia, in California nel 2013. La sentenza, pubblicata oggi, ripercorre la vicenda: le due donne, rientrate in Islanda con il piccolo, tre settimane dopo la nascita, avevano chiesto la cittadinanza islandese per il minore e che fosse riconosciuto figlio della coppia. Ma essendo nato da madre americana e vigendo in Islanda il divieto di ricorrere alla maternità surrogata, il figlio è stato considerato minore non accompagnato e però posto sotto la custodia delle due donne. Un cambiamento della giurisprudenza islandese ha fatto sì che nel 2015 il minore potesse avere il passaporto islandese, ma nonostante i ricorsi in appello, alla coppia non fu riconosciuta la potestà genitoriale. La procedura per l’adozione fu intrapresa, ma siccome nel 2015 le due donne si separarono, ritirarono la domanda. Nel 2017 la Corte suprema ha confermato il verdetto della Corte distrettuale, secondo cui “in Islanda la madre naturale è la madre e le autorità non hanno l’obbligo di riconoscere i richiedenti come genitori”. Il bambino è rimasto comunque affidato alle due donne, che nel frattempo avevano entrambe un nuovo legame.
Secondo la Corte europea, la sentenza della Corte suprema islandese non è né “arbitraria” né “irragionevole”, perché basata sulla legge islandese. E avendo comunque riconosciuto l’affidamento del minore alla coppia, lo Stato ha adottato le misure necessarie “per salvaguardare la vita familiare delle ricorrenti”. Secondo la Corte, lo Stato quindi ha “agito a sua discrezione in questa materia, con l’obiettivo di proteggere il suo divieto di maternità surrogata”.